’O pernacchioL’Auditorium di Mezzocannone non si tocca

Non sono mai stato un grande simpatizzante dell'occupazioni. Non hanno mai fatto parte (e continuano, in un certo senso, a non farne) di me. All'imposizione con la forza, preferisco il dialogo; all...

Non sono mai stato un grande simpatizzante dell’occupazioni. Non hanno mai fatto parte (e continuano, in un certo senso, a non farne) di me. All’imposizione con la forza, preferisco il dialogo; allo sfondare una porta, chiedere che venga aperta. Ricevere anziché prendere, e parlare anziché urlare. Eppure ultimamente, conoscendo i ragazzi e le ragazze di Mezzocannone 12, mi sono dovuto ricredere. Ricredere, intendiamoci, non nel senso più profondo e intimo: non sono diventato un sostenitore accanito di – come le chiamano anche loro – «certe pratiche». Ho comunque capito e in un certo senso condiviso le loro ultime attività: che vanno dall’occupazione di alcuni locali in Galleria Principe, a Napoli, alla difesa – sempre cosiddetta – dell’Auditorium in Mezzocannone, in questi giorni a rischio di sgombero coatto.

Hanno preso dei posti che, inutile appellarsi al diritto, alla civile convivenza, alla socievolezza dell’animale-uomo, prima non venivano minimamente sfruttati. Se non come depositi di archivi anonimi (è il caso di una delle stanze della Galleria Principe); o come androni raccogli-polvere (l’Auditorium, appunto). Che dei ragazzi e delle ragazze, pur radicati nelle loro storie e nelle loro convinzioni, riescano a far risplendere luoghi che altrimenti sarebbero rimasti disabitati è una cosa che va obiettivamente apprezzata. Al di là, lo ripeto ancora una volta, di tutte le considerazioni che uno, uomo, giurista e garantista, possa fare.

Nella Galleria Principe, verrà istituita una scuola per immigrati. E già solo questo – credo – dovrebbe bastare per dare uno schiaffo morale ai tanti «giudici, giurie e carnefici» che in queste ore, in virtù di un diritto alla proprietà, nel senso più british possibile, mai profondamente appartenuto al popolo italiano, si stanno indignando. «È una vergogna», dicono. Sarebbe stata ancora più una vergogna se la Galleria fosse crollata su se stessa, a causa di infiltrazioni d’acqua e di umidità in ambienti chiusi per oltre 10 anni, disabitati e inutilizzati: pavimenti scorticati, sedie impilate, carte lasciate ad ammuffire; e corrente – questo va detto – lasciata attiva, con luci e lampadari accesi per oltre un decennio. Senza che nessuno si ponesse la fatidica domanda del: «è il caso di spegnerli, no?»

In questi giorni, causa denuncia da parte dell’ADISU che vuole riappropriarsi dei suoi locali, l’Auditorium potrebbe – ma non dovrebbe – essere sgomberato dalla polizia. Sgomberato perché diventi un «centro conferenze» (a che pro? Ce ne sono già tanti, e in tanti, a parte spendere soldi in finanziamenti continui ed eccessivamente onerosi, non vengono nemmeno usati); e perché l’ADISU, commissariata e in crisi, possa fare il suo lavoro (che consiste, per chi non lo sapesse, nel dare servizi essenziali agli studenti: convenzioni per la mensa, borse di studio, ecc. ecc.). Le ragazze e i ragazzi di Mezzocannone, però, in questi mesi, sono già riusciti a ridare vita all’Auditorium, intitolandolo a Carla e Valerio Verbano, restituendolo alla cittadinanza; rendendolo fulcro di tutta una serie di attività che, altrimenti, senza occupazione, non ci sarebbero mai state – anche questo è un dato di fatto; non una posizione presa.

Qui la questione non è il diritto, il rispetto di un regolamento a tutti i costi; di una legge-bavaglio che incatena e che, anziché usare, sperpera. Qui si tratta di utilità, di fattività, di idee messe a sviluppo. E se c’è una possibilità che la regola venga superata è questa: quella dove l’etica, la morale e la concretezza si uniscono, diventano un costume, un uso consolidato. Tagliare i costi vuol dire non solo diminuire le spese, ma fare pure in modo che quelle stesse spese vadano a buon fine. Che servano, effettivamente, qualcosa. A costo zero, il collettivo – perché questo è – di Mezzocannone ha messo a regime una struttura. Ora lo sgombero sarebbe eccessivo; il dialogo – come pure è stato cercato ed ottenuto – è l’unica via possibile. Parliamone prima di usare a tutti i costi il bastone: il rischio è che l’Auditorium torni al buio, a raccogliere polvere.

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