Giorni fa, un articolo del New York Times intitolava: «seduced by Naples». Che letteralmente significa: sedotta (vista che la scrivente, Rachel Donadio, è una donna) da Napoli. Appena ieri, su Le Monde, un altro titolo diametralmente opposto: «Naples, la poubell de l’Italie». Napoli, la pattumiera dell’Italia. Di Philippe Ridet.
Per quanto possa valere il consiglio delle vecchie generazioni di «non giudicare il libro dalla copertina», bastano già solo questi due titoli per capire che l’idea degli americani e quella dei francesi su Napoli è diversa. Una che si ferma alla superficie e alle curve del Golfo, pur mettendo in luce i disservizi dell’amministrazione; e l’altra che, forte di interviste ed approfondimenti, va talmente a fondo da risvegliare un gigante che dorme. Un gigante che, senza peccare di populismo, potremmo benissimo chiamare Verità. La verità di quello che succede e che, almeno in Italia, non si dice. La verità di una storia che continua ad essere taciuta; di un popolo che combatte, che soffre e che denuncia.
Dopo il decreto del Consiglio dei Ministri, simbolicamente ribattezzato «Terra dei Fuochi», l’attenzione mediatica, almeno nello Stivale, è bruscamente calata. Di monnezza si parla quel tanto che basta. Ora – sembra di capire – i problemi sono altri. E sono dettati dall’agenda politica del Parlamento e del Governo, non dai cittadini e dai loro bisogni (come invece dovrebbe essere). Fa più notizia la venuta di Renzi in Campania, in gran segreto, senza giornalisti e folla, che la Campania stessa, con le sue ecoballe ancora in balia di un iter burocratico-legislativo carente. Il fatto è: con il bando di un inceneritore (a Giugliano, ndr) ancora in ballo, l’UE non ci tasserà. Senza, saremo sommersi dalle multe. E con le multe, meno soldi. E con meno soldi, addio a tutti i programmi, le previsioni e le azioni che il Governo tanto brillantemente, in questi mesi, ha già messo nero su bianco. E quindi è meglio lasciare il bando (come dice pure, non tanto tra le righe, Caldoro sul suo blog, dove risponde – in politichese – ai cittadini di #fiumeinpiena e agli altri manifestanti) che cercare soluzioni alternative. È meglio adagiarsi sugli allori ai titoli del NYT e rabbrividire, gelati da una doccia fredda (che fredda, però, non è), a quelli de Le Monde, che fa – inutile nasconderlo – il suo lavoro.
Non c’è da indignarsi se la stampa estera va a fondo alle cose. Non c’è da stupirsi se un certo sistema non è stato ancora contaminato, come il nostro, dalla politica. Le eccezioni ci sono; ma in virtù della loro storia, del loro background, di chi edita e di chi scrive, finiscono per passare in sordina. Sotto banco. Letti solo da quelli che, direttissimi interessati, ne hanno veramente voglia. Un esempio su tutti: Il Fatto Quotidiano e fanpage.it. Se Napoli è in bilico tra questi due estremi, l’estremo che seduce e l’estremo che fa storcere il naso, è anche per questo. Per la mancanza sostanziale di informazione. Per quello che c’è e non si dice, per la storia che continuano (e continuiamo) a raccontarci: e cioè che se parla Le Monde è invidia; se parla il Fatto è complottismo; e se non se ne parla, il problema non esiste. Come direbbero i francesi: «cul de sac».