#MomInTheCityIl nome che non darai mai a tuo figlio

Sì, perchè a un certo punto arriva il momento che devi smetterla di chiamare "fagiolino", "gamberetto" o "ragnetto" quella cosina che cresce dentro di te. Anche perchè magari essere chiamato così g...

Sì, perchè a un certo punto arriva il momento che devi smetterla di chiamare “fagiolino”, “gamberetto” o “ragnetto” quella cosina che cresce dentro di te. Anche perchè magari essere chiamato così gli fa pure un po’ schifo. Insomma, arriva il momento di scegliere un nome o, per lo meno, di fare una lista dei papabili. Ecco, arrivata a quel punto, nella mia testa ce n’era uno in particolare che si riproponeva spesso. Ma non in maniera positiva, capitemi. Quando dico che mi si “riproponeva” intendo come fa il piatto di pasta e fagioli della nonna quando ti sei messo a letto senza averlo ancora digerito. Insomma, per farla breve il nome in questione era Ilaria. E non me ne vogliano tutte quelle che si chiamano così, niente di personale.

Ilaria.

Ilaria era una mia compagna di scuola che mi stava simpatica come un piccione in mezzo alla strada quando il semaforo è verde.

Ilaria mi ha insegnato il senso della parola “inadeguatezza”.

Lei bella, bionda e con gli occhi azzurri.
Io mora, piccoletta e con gli occhiali tondi che nemmeno Harry Potter. Per non parlare dei miei dentoni che facevano invidia a Don Chuck castoro.

Ilaria riusciva a essere sempre in ordine, pure dopo due ore passate a giocare a palla progioniera in palestra. Il suo outfit preferito la vedeva con un maglione a collo alto color panna (sì, me lo ricordo bene), gonna con le pieghe e calze di filana. Non ho mai capito come facessero quelle calze a non smagliarsi mai visto che a me, ogni volta che accavallavo le gambe, mi restavano impigliate nel truciolato del banco di scuola. Alla meglio mi si tiravano, alla peggio le bucavo proprio.

Ilaria non aveva mai un capello fuori posto. La coda di cavallo era sempre perfetta. La mia no. Eppure se chiudo gli occhi sento ancora le unghie di mia madre che mi passano nei capelli, me li tirano per raccoglierli e far sì che la coda sia davvero alta. Quando aveva finito mi tirava tutto, pure il cervelletto. Un capolavoro che restava intatto per circa tre minuti e cinquantasei secondi. Quello di Ilaria tutta la giornata.

Ilaria faceva la bella addormentata nella recita di Natale. Io la cinese. Che poi che cazzo c’entra una cinese nella favola, boh.

Ilaria me la sono portata dietro dalla prima elementare alla terza media. Che se prendevo un 8 all’interrogazione di storia, per mia madre era: “Sì? E Ilaria quanto ha preso?“. E la risposta era sempre un voto in più. Malimortacci.

Quando sono andata alle superiori mi sono sentita libera una volta per tutte. Nemmeno su Facebook l’ho mai aggiunta. E niente, da quel momento ho realizzato che Ilaria è un nome che mi sta sulle scatole di default.

Un po’ come Flavio che mi fa pensare a un cicciotto riccio con il moccio al naso verde e perenne perchè all’asilo avevo un Flavio così e mi faceva un po’ schifo. Come Vanessa che invece è una bulla un po’ goffa che la dà a tutti come se non ci fosse un domani, perchè in terzo superiore era questa la Vanessa che avevo in classe.

Insomma, tutti abbiamo dei nomi che ci stanno sulle palle e sono quelli che non daremo mai ai nostri figli. Al contrario, proprio il nome che invece gli abbiamo dato, in realtà appartiene a qualcuno di cui abbiamo davvero un bel ricordo. Qualcuno che ci ha lasciato qualcosa, un’espressione del viso, un modo di parlare, di porsi, di muoversi che noi adesso vogliamo che abbia anche il nostro bambino. È così per tutti, ci scommetto.