Dovevo essere speciale, avere una vita fuori dall’ordinario. Dovevo spingermi oltre i miei limiti, andare fuori dagli schemi. Da piccola mi continuavano a dire che da grande sarei diventata una figa. Ma non nel senso di velina e compagnia bella, no. Io avevo iniziato a immaginarmi una roba forte, tipo come il nuovo presidente degli Stati Uniti. Vedevo la mia scalata in politica, mi avrebbero chiamata in quegli orrendi programmi di infotainment. Avrei avuto un bell’orologio sul polsino della mia camicetta, avrei parlato spedita e detto la mia su tutto che nemmeno Concita De Gregorio. Avevo 12 anni e pensavo che non avrei avuto tempo per niente e per nessuno. Non ero fatta per l’ordinarietà e non la volevo.
Mi ci sono voluti anni per capire che io aspiravo alla normalità. Che potevo realizzarmi essendo una persona normale. Dovevo solo capire cosa volevo davvero. Una cosetta da niente, insomma.
Certo era che io volevo scrivere, creare un mondo mio. Volevo sposare Lui, avere una famiglia e affermarmi nel lavoro. Una normalità come tante che ho dovuto conquistarmi come se stessi facendo comunque qualcosa di straordinario.
Ho dovuto affermare i miei ideali e lottare per la mia maternità prima, per l’allattamento dopo. Ho dovuto lottare per essere donna, moglie e madre allo stesso tempo. Retorico? Forse. Ma è vero, chi è donna lo sa.
E come ogni battaglia che si rispetti pure la mia ha avuto le sue vittime. Sul campo ho perso tanti di quelli che pensavo fossero gli amici per la vita, ma ho anche guadagnato e riscoperto alleati preziosi.
Ho lottato e lotto ogni giorno per una normalità che una decina di anni fa avrei disprezzato. E che comunque ancora oggi non apprezzo abbastanza. Mi lamento troppo per il tempo che non ho, per tutte le cose che vorrei fare e che non faccio. Mi lamento perchè non riesco a trovare mai il tempo per uscire con le amiche, una serata per scrivere. Il tempo per una giornata mia, che se lo faccio una volta mi sento come se avessi vinto 1000 punti sulla madredemmerda card. A 4500 vinci pure una suocera.
Mi lamento che al mattino mi sento un leone, alle 8 già mi sono docciata, ho lavato, vestito e fatto fare la colazione alla pupa e pulito casa (che pare vero). Mi sento che non vedo l’ora che arrivi sera per stare un po’ con Lui. Poi quando finalmente arriva la sera, dopo la tipica giornata moglie-madre-giornalista-donna, mi sento il peggio straccio della signora che viene a pulire le scale del condominio. E niente, me rode.
La notte tra il 13 e il 14 novembre mi ha fatto capire quanto sia strordinaria la mia normalità. Per lavoro ero in piedi a seguire quello che accadeva a Parigi e che ormai tutti conosciamo fin troppo bene. Mi sono rivista abbracciata a mio marito negli occhi dei ragazzi che si stringevano in mezzo al campo dello stadio. Ero la madre morta per fare da scudo a suo figlio al Bataclan, la moglie che per una fuga al concerto con le amiche ha detto per sempre addio al marito e al suo bambino di 17 mesi. Quella notte ero tutti, ma non ero nessuno.
E ho ringraziato per la mia normalità. Ho ringraziato per il mio lavoro che mi fa tornare a casa a pezzi ogni giorno, per la metro di Roma che prendo ogni giorno e che ogni giorno non funziona, per le mie piccole battaglie quotidiane e per le grandi vittorie della mia vita. Ho ringraziato perchè quella notte nel mio letto avevo Lui, perchè potevo stringere ancora la mia bimba sul mio petto, sentire il suo odore, passare le mie dita nei suoi capelli. Ho ringraziato per quelle manine che ogni notte mi cercano, perchè hanno potuto trovarmi ancora vicino a loro. E io ho potuto ancora una volta trovare loro vicino a me.
Ho ringraziato perchè ho capito che non ho mai avuto bisogno di cercare la straordinarietà, perchè si trova già nella mia normalità. La mia normalità ha vinto perchè è quella che mi fa guadagnare, passo dopo passo, battaglia dopo battaglia, la mia felicità. E questa è l’unica cosa che voglio insegnare a mia figlia: trovare la felicità nella sua normalità.