“I giovani riceveranno la pensione a 75 anni, e ridotta del 25%” è un po’ come dire: “mi piaci, ma restiamo amici”, “ti amo, ma voglio prendere una pausa” un modo elegante di edulcorare una brutta notizia, perché il vero messaggio è: cari giovani, non riceverete mai una pensione, ma preferisco dirvelo piano piano, così iniziate ad abituarvi all’idea. E’ questo lo sconfortante contenuto del messaggio inviato dal neo presidente dell’INPS Tito Boeri, solo alcuni giorni fa.
Forse la prima vera ammissione di impotenza di generare una soluzione all’infinito e apparentemente irrisolvibile problema delle pensioni.
Quello che è accaduto con il nostro sistema pensionistico è ormai storia e caso di studio (nell’ambito delle lezioni di Politica Pubblica da cui “non prendere esempio”).
“I giovani riceveranno la pensione a 75 anni, e ridotta del 25%” è un po’ come dire: “mi piaci, ma restiamo amici”, “ti amo, ma voglio prendere una pausa”.
Una generazione di baby boomers, numerosa e produttiva, un boom economico mai vissuto prima, tante belle speranze e poche proiezioni economiche o demografiche. Questo è stato sufficiente per creare un sistema sbilanciato, iniquo e largamente inefficiente.
Potremmo stare ore a raccontare cosa è andato storto, chi (non) si è preso la responsabilità di politiche pubbliche scellerate orientate più a ottenere consenso politico che a creare un welfare efficiente. Oppure, possiamo proporre delle misure per attenuare o quantomeno limitare i danni di questo sistema.
1-I lavoratori dovrebbero poter scegliere il destinatario dei propri contributi
Quello che accade oggi è che le aziende sono obbligate a versare contributi all’INPS, unico gestore, monopolista, dei contributi pensionistici. Questo crea dei costi all’azienda, e fondamentalmente, sottrae al lavoratore un reddito che non verrà mai più restituito.
2-Il monopolio dell’INPS dovrebbe essere abolito.
In molti paesi dell’ex “secondo mondo” sono stati creati dei sistemi pensionistici molto efficienti. In Messico, Cile e moltri altri paesi, il lavoratore è libero di scegliere se affidare i propri contributi allo Stato, o a fondi bancari, pensionistici, e assicurativi privati, il cui profilo di investimento è monitorato e approvato da agenzie Statali specializzate.
3- Dovremmo poter scegliere quanto versare di contributi e quando andare in pensione
Perché lo Stato può scegliere l’età della nostra pensione? Al di là del principio di libertà, che viene chiaramente violato, questo sistema si rivela largamente inefficiente. Come insegna l’esperienza, ci saranno sempre uomini e donne che vorranno lavorare per tutta la vita, altri che avranno bisogno o desiderio, di fermarsi prima.
In questo caso farà fede la lungimiranza e l’impegno antecedente la data della pensione. Come a scuola abbiamo incontrato compagni che preferivano studiare 24 ore al giorno per tenersi il weekend completamente libero, allo stesso tempo ci saranno sempre persone che preferiranno diluire lo studio (il lavoro) in un tempo più lungo.
Oppure ci saranno persone che sceglieranno di versare 0 contributi, perché convinte di poter investire i propri soldi in maniera più efficiente.
4-Dovremmo poter “vedere” quanto ci viene rubato dallo Stato
Al di là dell’iniqua tassazione che subiamo ogni giorno, una buona parte del nostro reddito ci viene sottratto dall’INPS (come dicevamo prima, si tratta di vero e proprio furto, in quanto questi contributi non verranno mai restituiti). In busta paga questo viene ampiamente camuffato. E noi restiamo sempre meno consapevoli, sempre più ingannati.
5- Dobbiamo ridurre la spesa statale. Radicalmente.
Le misure precedentemente elencate rientrano tra le soluzioni possibili di uno scenario ideale, in cui il sistema pensionistico può essere riformulato senza eccessivi costi di transizione. Purtroppo quello che accade è che, dovendo pagare le pensioni della generazione precedente, non possiamo permetterci di eliminare o ridurre i nostri contributi, senza una radicale riforma dei costi dello Stato. Quando un’azienda va male, si tagliano i costi, si riduce il personale (che spesso è complice e responsabile del tracollo), si riforma la struttura, la gestione. Il primo ente da riformare è l’INPS, e insieme ad esso, tutti i cosiddetti strumenti di welfare (tra cui in primis la cassa integrazione), ma anche tutti gli altri costi associati allo Stato, dalle partecipate, agli enti pubblici, alle agenzie, ai costi della politica, agli sprechi della sanità.
Alle parole di Boeri dovrà seguire una ricetta di soluzioni economicamente solide. Magari non saranno riforme, ma vere e proprie rivoluzioni.
Un sogno? No, un progetto di giustizia. Ora più che mai.
Elisa Serafini