Io me le ricordo quelle urla. Lei se le strozzava in gola, lui le soffocava fra i denti. Erano di quelle che facevano paura, che agitavano i vicini, che ti facevano citofonare per chiedere se andava tutto bene e per sentirsi rispondere che sì, era tutto ok. Erano di quelle che nessuno dovrebbe mai sentire, meno che mai un bambino.
Io me le ricordo perchè lei era mia madre, lui mio padre. E non lo so chi combinava cosa. Io so solo che quegli occhi, quelle parole, quelle grida di aiuto non le volevo sentire. Così, quando papà iniziava a mettere le mani addosso a mamma e lei a urlare aiuto, io prendevo mia sorella e chiudevo la porta della nostra stanza. Mi tappavo le orecchie e aspettavo che tutto finisse. Il cuore mi batteva fortissimo, avevo l’ansia che mi faceva male al petto e alla testa. Ma respiravo e mi dicevo solo di aspettare.
Una volta mi sono detta che non potevo più aspettare e basta, che dovevo fare qualcosa. Ho raccolto tutto il mio coraggio (e io ne ho ben poco), sono uscita e sono andata in camera da letto. C’erano mamma e papà sul letto, lui sopra a lei, le mani intorno al suo collo. In un fiato, mia madre mi ha detto: “Chiama nonno!“. Papà ha preso il telefono e le arrotolato il filo intorno al collo, a sostituire le sue mani. E poi ha inizato a stringere, e più stringeva più mamma diventava rossa in viso e i suoi occhi si facevano grandi, pieni di paura. Io ero lì, ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo chiedendogli di smetterla, di lasciar stare mamma e lui lo ha fatto, ha smesso. Ha guardato mamma e le ha detto: “Ecco, guarda che hai fatto!“.
Dopo questi momenti di solito mamma faceva prendere a me e mia sorella le nostre cose per andare dai nonni. “Questo non è normale – ci diceva – non dovete pensare che va bene così, che l’amore è questo. Questo non è normale!“. Poi però tornavamo sempre a casa. A un certo punto, dopo anni e anni di stesse storie viste e riviste, mamma ha detto basta davvero, ma non è stato semplice. Papà veniva sotto casa, ci sono stati specchietti della macchina stranamente rotti e pure qualche minaccia non troppo velata. Poi mio padre per fortuna se ne è fatto una ragione.
Eppure non sono state le parole di mia madre a spigermi a cercare un amore diverso dal suo, un uomo che fosse tutto il contrario di mio padre. E’ stato un altro episodio che più di tutti mi ha spaventato.
Era estate ed eravamo in campeggio. Io ero seduta con papà al tavolino della nostra piazzola, fuori dalla tenda. Mamma era andata a lavare i piatti con le sue amiche di altre due famiglie in vacanza con noi. Diciamo che ci ha messo un po’ più del dovuto e che papà non ha apprezzato. Io l’ho vista venire verso di noi sul sentiero che veniva dai lavatoi. Era allegra, aveva sotto il braccio la coccumella con i piatti lavati che ancora gocciolavano dietro di lei. Quando è arrivata da noi ci ha sorriso. Papà ha iniziato ad urlarle addosso tutte le parolacce che conosceva, Tutti si sono girati a guadarci, nessuno parlava più. Si sentiva solo papà che urlava, l’umiliazione di mia madre si poteva quasi toccare. “Sei una troia!“, ha concluso. Mia madre si è chiusa nella tenda a piangere.
Io mi ricordo solo che ho pensato che non avrei mai voluto un uomo così, che non ci sarebbe stata rosa o cena fuori o canzone d’amore che mi avrebbe fatto dimenticare quella sensazione, quella mortificazione.
Ho fatto fatica a scrivere questo post, ci ho pensato sopra per giorni, non sapevo se fosse il caso di pubblicarlo davvero. Perchè posso assicurare che pure se la vittima sei tu, o se comunque non c’entri niente con il carnefice, ammettere di aver visto cose simili, di aver provato paure e sofferenze del genere un po’ di vergogna te la fa provare. E ci vuole tempo, forza e coraggio per accettare che non ti devi vergognare di niente tu, che è qualcun altro che dovrebbe farlo. Ma la storia di Sara di Pietrantonio mi ha toccata tantissimo, così come quella di ogni donna che muore o che subisce volenza per mano di chi dice di amarla. E ho pensato che io quella violenza l’ho vissuta di striscio, che ho imparato sulla mia pelle quello che volevo da un uomo e che probabilmente me ne porto ancora dietro le ferite.
A mia figlia invece voglio iniziare subito a far capire quanto vale e cosa è davvero l’amore. Nessuno deve trattarla da meno della fantastica creatura che sto crescendo, lei lo deve pretendere. E voglio soprattutto che quando si chieda che uomo vuole accanto, pensi a suo padre.