BERLINO – Coerente con il suo pensiero fino all’ultimo respiro Umberto Veronesi. A confermarlo è il figlio dell’oncologo, Alberto, che ha ricordato le ultime ore di vita del padre , rivelando che nell’ultima settimana ha rifiutato le cure, scegliendo di fatto di morire: “In fondo lui che ha sempre predicato l’eutanasia – ha spiegato Alberto Veronesi -, cioè il diritto di non soffrire, alla fine modo non ha voluto essere curato, non ha voluto essere ricoverato, non ha voluto nessun prolungamento, ha voluto andarsene”.
Accade in un paese come l’Italia che diversamente dalla Germania, non ha le leggi sulla morte assistita cioè la pratica di consentire a un paziente in condizioni di salute estreme di scegliere se lasciarsi morire. Secondo i cattolici è “coraggioso soltanto chi offre la propria sofferenza a Dio”, e per convincere i più indecisi aggiungono che “portare a termine la propria vita sopportando il dolore è una dimostrazione di dignità e coraggio”. Sono convinto che in una società laica sia assurdo esaltare la “sacralità” della vita in termini astratti, se il contributo da pagare è il dolore e la sofferenza atroce di pazienti e familiari, nella corsia di un ospedale.
Se un adulto maturo può compiere scelte di vita nette e irrevocabili come cambiare sesso o abortire, non si capisce perché non possa avere la medesima autorità sulla propria morte
Gli studi sui malati terminali dimostrano che costoro non vogliono soltanto evitare le sofferenze, ma desiderano rimanere lucidi per non essere un peso per chi gli sta vicino. Il sistema sanitario italiano è totalmente incapace di soddisfare questi bisogni, e il prezzo di questa incapacità non può essere misurato soltanto in euro. La cosa più difficile non è come rendere economicamente sostenibile il sistema, bensì costruire un’assistenza sanitaria che aiuti i pazienti moribondi a scegliersi come morire.
Fino a non molto tempo fa, morire era un processo rapido. Che la causa fosse un’infezione, un parto difficile, un infarto o una polmonite, spesso l’intervallo di tempo tra la diagnosi di una malattia mortale e la morte stessa era questione di giorni o settimane. Oggi, invece, le malattie brevi con esiti fatali sono l’eccezione. Malauguratamente è diventata quasi una normalità la condizione incurabile, nella quale la morte è certa, ma i tempi no.
Insomma, non ci si può soltanto accettare che la battaglia è persa. Bisogna avere il coraggio di affrontarla, uscendo dagli schemi, superando le ideologie, rispettando soprattutto la volontà di chi soffre e dei suoi familiari. Se un adulto maturo può compiere scelte di vita nette e irrevocabili, come cambiare sesso o abortire, non capisco perché non possa avere la medesima autorità sulla propria morte, sul diritto di concludere la propria vita quando si ritiene pronta o pronto. Un diritto che in Italia rimane sconosciuto, come di Veronesi resterà il buon ricordo.