Step by StepPolitica e questione morale

«I partiti sono diventati macchine di potere», «I partiti non fanno più politica», «I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia», dice Enrico Berlinguer rispondendo a Eugen...

«I partiti sono diventati macchine di potere», «I partiti non fanno più politica», «I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia», dice Enrico Berlinguer rispondendo a Eugenio Scalfari in questa intervista pubblicata da La Repubblica il 28 luglio 1981. Per quanto riguarda l’analisi della crisi, si tratta di un punto di crisi, intravvedendo puro qualche segnale di speranza. Vediamo perché la sua analisi è ancora indispensabile per comprendere l’oggi nel quale viviamo.

Se «I partiti non fanno più politica» è perché la passione è finita? incalza subito Eugenio Scalfari

Risponde Berlinguer: «Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio osare e mettere piede in casa altrui, ma io sono fatto e sono sotto gli occhi di tutti. I segreti di oggi sono i problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o meno, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, anche anche loschi, comunque senza alcun rapporto con i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora … »

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

«È quello che penso».

Per quale motivo?

«I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni, a partire dal governo. Gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta bene. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro clienti sono in grado di vedere principalmente in funzione dell’interesse del progetto o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura benefici e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa dei dati, un’apprezzamento viene aggiudicato, una volta ricevuto un premio, un’attrezzatura di laboratorio è finanziata, se i benefici sono garantiti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da lontano accappon la pelle.

«E secondo lei non determinati alla situazione?»

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è il segno che lo accetta o non è accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

«La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno provato vantaggi, o sperano di ricevere, o temono di non riceverne più.
«Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il ​​voto che gli italiani hanno dato in occasione del referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati ​​o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel ’74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell’81 per l’aborto, gli italiani hanno dato l’immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in tanti operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane ».

Veniamo all’altra mia domanda, se permettono, signor Segretario: dovreste aver vinto un un po ‘, se le cose sono venute lei descritte.

«In un certo senso, al contrario, può apparire così straordinario, conservando molti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere che cosa pensa: come noi dichiariamo di essere un partito “diverso” da altri, lei pensa che gli italiani sono timore di questa diversità ».

Sì, è così, penso proprio a questa tua conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che sta la tua diversità? C’è da averne paura?

«Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in tutto il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all’equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dadi la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; più che mai, più semplici di più in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che incutere tanta paura agli italiani? »

Veniamo alla seconda diversità.

«Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque, che io sia malato e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada dati voce e possibilità concreta di contare nelle conseguenze e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati, con la differenza rispetto ad altri, che la professionalità e il merito sono premiati, che la partecipazione di ogni cittadino alla cosa pubblica è stata assicurata ».

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

«Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant’anni di storia alle spalle e abbiamo vissuto di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi ».

Non sei soltanto.

«È vero, ma noi meno. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vorrei seguire i rigidi di un settore finanziario, pensiamo che il mercato sia gestito in modo essenziale, che l’iniziativa sia insostituibile, che l’impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche, e così via, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC non sono più, il modo in cui è iniziato il meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell’attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee? »

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però una sembra un’offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

«Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s’intende) si è semper molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente trattati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, io sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che acconsentono una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io ricordo prima sono scoppiati in tutto l’occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese , proprio perché partiti socialdemocratici si trovano di fronte a una realtà per essi ignora o da sanno ignorare ».

Dunque, siete un partito socialista serio …

«… nel senso che costruire sul serio il socialismo …»

Le dispiace, la preoccupazione che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?

«No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere appropriati difesi e ambiti. Anche noi lo facciamo. Verso i gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c’è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. Il PSI ei partiti laici dimostra di avere una politica e di attuare un programma e rispetto al presente. Se invece si tratta di un semplice trasferimento di clientela per consolidare, sotto nuove etichette, vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stati, partiti e governo,

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c’è o no?

«Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c’è stato un trasferimento di clientela. Non voglio essere sicuro che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno dato alcun segno di voler avviare quella riforma del partizionamento e istituzioni -che poi non è altro che un problema del dettato costituzionale- senza la quale non può essere considerato alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta ».

Lei ha detto varie volte che la questione morale è al centro della questione italiana. Perché?

«La questione morale non si esaurisce nel fatto che, nei termini della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna mettersi in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono essere trattati da gravi rinnovamento salvo se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [… ] Quel che devo interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude ».

Signor Segretario, in tutto il mondo si è d’accordo che si tratta di inflazione, e le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell’obiettivo. È anche lei del medesimo parere?

«Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mesi non sono visti separati. L’inflazione è -se vogliamo- l’altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l’una contro l’altra. Guai un dissociare questa battaglia, come un esempio, per esempio, che si tratta di una recessione massiccia e d’una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili ».

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell ‘”austerità”. Non mi sembra che il suo appello sia stato accolto dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito …

«Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e stortura produttiva, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all’aggravamento del divario, al loro interno, tra zona sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all’avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza – non consentiva più di uno sviluppo economico e sociale conservando la “civiltà dei consumi”, con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, è uno dei segni più gravi di tutto Ma dicevamo dell’austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati ​​superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». contenere i consumi privati ​​superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». contenere i consumi privati ​​superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». Diciamolo che anche i lavoratori non sono mai stati costretti a farlo, ma l’insieme dei sacrifici è stato fatto applicando un principio di rigore tipo di sviluppo e modi diversi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». un insieme di rigore e un passo in avanti tipo di sviluppo e diversi modi di vita. Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ». un insieme di rigore e un passo in avanti tipo di sviluppo e diversi modi di vita. Questo è il problema dell’austerità e della lotta all’inflazione e alla recessione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati ».

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

«Il costo del lavoro va anch’esso affrontato, nel complesso, contenuto, operando sul fronte dell’aumento della produttività. Voglio dirlo però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si iniziano con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si è alle spalle una domanda come la P2, è assai difficile ricevere attenzione ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l’operazione non può riuscire ».

vincenzomaddaloni.it @maddaloniit fb vincenzo Maddaloni

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