Pufa editore è una piccola casa editrice nata nel gennaio del 2015, nonostante si dica che gli italiani leggano sempre di meno, che i libri in formato cartaceo non abbiano un futuro e che l’editoria non uscirà così presto da questo lungo momento di crisi.
A partire dalla valorizzazione dell’autore e delle specificità che lo caratterizzano (Andrea De Carlo e Valentina Lippolis sono solo alcuni dei nomi estremamente interessanti che abbiamo avuto modo di leggere), Pufa editore è la dimostrazione di come le idee – se sviluppate con amore – abbiano ancora spazio fra le logiche di marketing. Ne abbiamo parlato con l’editore, Angelo Mansueto, approfittandone anche per conoscere maggiormente il suo lavoro di scrittore e poeta, dopo aver letto la sua opera “Flusso di incoscienza”. Un’opera che racconta del quotidiano, degli stati d’animo e dei pensieri senza rinchiudersi in alcuna torre d’avorio del linguaggio, ma scegliendo una parola semplice ed evocativa per la quale, soprattutto, è immediato e naturale provare empatia.
- Perché “Flusso di incoscienza”?
“Sono due vocaboli che non si arresterebbero dinnanzi a qualsiasi armata protettiva, nessun recinto bigotto potrebbe tenerle né dentro, né fuori uno spazio. Incoscienza, tutti gli errori che il flusso mnemonico individuale fa salire in superficie. Alcuni occhi hanno abboccato”.
- Quali sono le storie che hanno ispirato le sue poesie, c’è qualcosa di autobiografico?
“Tutti i versi dell’opera sono autobiografici, è un modo per uscire da se stessi, o forse solo per affezionarsi di più a se stessi. Dall’infanzia “il bimbo dorme, ha lavato i piedi, è a posto con la coscienza” alla maturità “ogni poeta rappresenta l’esilio dell’uomo dall’uomo”. Dalla vita, alla morte, in mezzo mi sono distratto parecchio”.
- Una componente che caratterizza la sua scrittura è quella visiva, a tratti cinematografica: leggendo i suoi versi, sembra di essere con lei. È una scelta volontaria, quanto la sua poetica è influenzata dai suoi lavori nel campo del cinema e del teatro?
“La scelta visiva dei versi è volontaria, ritengo sia la strada più efficace per arrivare al moto sentimentale del lettore e dello stesso autore. Cinema e teatro hanno fatto il resto, hanno agito autonomamente senza chiedere il mio parere. Li lascio fare con piacere”.
- Attualmente la poesia è una forma di scrittura ritenuta quasi di nicchia e non particolarmente apprezzata da molti degli editori, perché considerata fuori dal mercato o di difficile comprensione. È davvero così? Il caso di Rupi Kaur, per citare un esempio, sembrerebbe suggerirci il contrario. Lei, tra l’altro, sia come scrittore e sia come editore della casa editrice Pufa, ha compiuto una scelta “in direzione ostinata e contraria”.
“La poesia è molto cambiata negli ultimi 50 anni, in Italia è certamente contenuta nello scaffale più basso dell’arte (ingiustamente), è cambiata e non ha trovato gli uomini (neppure quelli ritenuti di cultura) pronti a comprenderla. Nella visione comune questa disciplina è sinonimo di debolezza e dolore, col “cazzo” mi verrebbe da dire, è resilienza. Rupi Kaur rappresenta la mosca bianca in poesia, per il resto c’è solo indifferenza, o peggio, in senso di superiorità. De Andrè insegna, sono un suo alunno diligente”.
- Il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha recentemente sottolineato come il settore dell’informazione e dell’editoria stiano vivendo un momento di forte crisi, invocando soluzioni a lungo termine e non a corto respiro. Secondo lei, quali potrebbero essere?
“L’unico consiglio a lungo termine che mi sento di dare è quello di leggere. Giusto per non essere cattivi con i drogati di cravatta”.
- Quali sono gli artisti con i quali è cresciuto e che le hanno permesso di innamorarsi della parola e della sua capacità di essere anche suono, immagine?
“Moltissimi, forse troppi hanno colmato le mie assenze. È diventata una vera festa senza invito. Dylan Thomas, Allen Ginsbeg, Montale, Auden, Plath, Majakovstij… continuiamo a brindare alla parola”.
- Infine, cos’è per lei la poesia, cosa rappresenta nella sua vita di tutti i giorni?
“La poesia è un’infezione dell’anima, per di più è contagiosa. Buona malattia. Preservare alcune malattie ne cura altre.
Ancora buona malattia”.