Il Ministro del Lavoro Poletti ha dichiarato che “Il rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di fiducia. È per questo che lo si trova di più giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum”. Da giovani ostinati a costruirsi un futuro nel nostro paese, proviamo a contribuire mettendo in fila qualche dato. Sono informazioni note da tempo, che un Ministro del Lavoro dovrebbe cercare di comunicare meglio, in un periodo in cui va di moda la post-verità.
Perchè i giovani non trovano lavoro?
Il dato più comunemente citato è quello sulla disoccupazione giovanile: il 37,9% secondo Eurostat; ben al di sopra di Germania (7,0%) e Francia (24,6%), e tuttavia inferiore al dato per la Spagna (44,4%). Alcuni indicatori meno conosciuti aiutano però a capire meglio come alcuni problemi siano specifici del nostro paese. Il grafico di sinistra riporta la percentuale di giovani che, entro tre anni dalla laurea o dal diploma, si ritrovano senza un lavoro e non intraprendono ulteriori studi o programmi di formazione (i cosidetti NEET). Più della metà dei diplomati e oltre il 40% dei laureati si trovano in questa condizione, un numero nettamente superiore a quello degli altri paesi. Il grafico di destra riporta invece i risultati di uno studio dell’OCSE sul cosidetto “disallineamento delle competenze”, in inglese skills mismatch. In Italia tale dato è il più alto (38% dei lavoratori), dividendosi in un 17% del totale che svolge un lavoro considerato dall’OCSE al di sopra delle proprie competenze e il 16% che si accontenta di un lavoro che richiederebbe competenze inferiori a quelle accumulate. Infine, un dato interessante che emerge dallo Skills Outlook del 2015 è che la percentuale di studenti di università e scuola superiore che combinano un’esperienza di lavoro con gli studi è in Italia solamente il 10%, in Francia è il 20%, in Spagna il 27%, nel Regno Unito il 45%, in Germania il 47%.
Emerge quindi un primo risultato: come già notato su lavoce.info, il nostro paese non riesce in media a formare i propri giovani con le giuste qualità e competenze, e non spinge i nostri studenti a capire come costruire, tramite il loro lavoro, il proprio domani. La fiducia di cui parla Poletti è sicuramente importante, è un topos abbastanza comune nei bar-sport, ma sembra un po’ un diversivo, un espediente che in bocca ad imprenditori e uomini delle istituzioni dimostra una certa ignoranza.
Perchè le aziende non assumono giovani?
Come riportano molti studi, il problema non risiede solo nelle capacità dei giovani (la cosidetta “offerta di lavoro”), ma anche nella disponibilità di posti nelle aziende e nelle istituzioni (la “domanda di lavoro”). Innanzitutto, la nostra economia è caratterizzata da un tasso di disoccupazione totale tra i piu’ alti (11,5%) ed un tasso di posti vacanti tra i più bassi (0,7%). In altre parole, è difficile sostenere che in Italia ci sia un’abbondanza di posti di lavoro non sfruttati dai giovani. Inoltre, come riporta il grafico sopra, la percentuale di giovani impiegata nei vari settori della nostra economia è sistematicamente inferiore rispetto agli altri paesi, fatta eccezione per la Spagna in alcuni casi. Il tema è di particolare gravità: sempre l’OCSE, ha stimato che per ogni 1% in più nella fascia da 55 a 65 anni, la produttività del lavoro cala dello 0,6%, portando nel caso italiano ad un taglio delle stime di crescita nel medio periodo. Tra i settori più colpiti da questa sclerosi ci sono la finanza, l’informatica e comunicazione e le attività scientifico-tecniche, in cui il valore aggiunto dei “nativi digitali” sarebbe probabilmente maggiore (e che tuttavia sono settori relativamente anziani anche negli altri paesi). Per quanto riguarda il dato sulla Pubblica Amministrazione, un settore il cui il ritardo digitale ha ricadute su tutti i cittadini, una causa famosa è il cosidetto “blocco delle assunzioni”. Tuttavia risulta evidente che, qualora non si voglia aumentare il costo della PA, il problema non sia risolvibile se non favorendo l’uscita dei lavoratori più anziani.
Cambiare le cose
Per riassumere, diverse statistiche dimostrano come i giovani che si presentano sul mercato del lavoro in Italia abbiano in media una preparazione inferiore rispetto ai principali paesi OCSE, con competenze spesso inadeguate. D’altra parte, le aziende e e istituzioni nel nostro paese offrono ai giovani relativamente poche opportunità, con organici in cui figurano pochi giovani e con un numero spropositato di addetti su mansioni non in linea con le proprie competenze. Certo, riportare questi dati disastrosi per la nostra generazione è un esercizio facile, provare a cambiare le cose è sicuramente più complicato. Bisognerebbe ripensare il nostro sistema di formazione, non solo scolastica e universitaria ma anche in età lavorativa, visto che le politiche attive stentano a decollare. Servirebbe incentivare le aziende che assumono giovani e che creano posti di lavoro in grado di valorizzare le competenze che formiamo. Ci piacerebbe che il ministro si concentrasse su questo, piuttosto che sulle battute.
Gruppo Tortuga