Orfani dello schema destra-sinistra
Lo schema destra-sinistra, quello con i tratti intermedi convergenti al centro per favorire la rete del marketing politico con un po’ di cinismo di posizione, che – grazie al maggioritario – è stato il contributo (si fa per dire) dato dalla seconda Repubblica alla scienza politica italiana, si va esaurendo.
In quello schema, che si reggeva sul traino di una coppia alternativa di partiti, c’era tuttavia ancora posto per una residuale sinistra massimalista, per un’aera riformista (pur testardamente poco permeata dal lib-lab), per tante sfumature post-democristiane, per una fantasiosa destra, quella dell’ottimismo (i berluscones), del trasformismo (i finiani) e per una Lega che, perso l’approccio federalista, masticava rabbia e furtarelli.
Sta andando in pensione questo spettro, che a poco a poco ha visto strapazzare le categorie di posizionamento inventate dalla prima Repubblica, facendone alla fine uno straccio zuppo, incapace di assorbire il nuovo.
E infatti il nuovo è arrivato dietro il carro un po’ sfacciato, certo esuberante, anarcoide e compiaciuto dei grillini che, pur sfondando, non ha raggiunto l’autosufficienza. E ascoltando le proprie componenti più sfacciate e incompetenti proprio i grillini hanno ceduto alla fine all’idea della stampella leghista, nel convincimento che, avendo loro il doppio dei voti, gli altri, eventualmente coalizzati, si sarebbero limitati a contare la metà.
Non è andata così. Ma la cosa più rilevante che è successa non è stata quella della assoluta parificazione di poteri tra i due alleati (con un effetto comunicativo tuttavia nettamente a favore di Matteo Salvini), quanto la definitiva sepoltura concettuale dello schema destra-sinistra. Una sepoltura che è diventata il preambolo non scritto del “contratto di governo”. Restano ora convinti del contrario solo coloro che, nella variopinta sinistra, pensano di redimere, rapidamente e moralisticamente, i 5 Stelle strappandoli per tempo dalla insana coalizione. La nuova coppia trainante proprio in forza di una sorprendente coalizione ha mandato anche culturalmente in pensione la coppia dei partiti gestori dello schema alternativo di destra e sinistra. Un risultato che per ora conta più di conflitti, gaffes e contraddizioni in seno al governo.
I più non si sono ancora ripresi dallo stupore
Da qui il rapido cedimento dell’insieme degli altri soggetti che erano in campo alle elezioni del 4 marzo. Pochissimi in realtà si sono ripresi dallo stupore, pochi hanno resistito a questo cambiamento. I più – meno forti in storia e memoria – si sono adeguati e, salvo qualche nostalgico del posizionamento ideologico (brandelli a sinistra e rigurgiti a destra), il linguaggio dell’opposizione è diventato politicamente incerto, per lo più stupefatto e moralistico, spesso borbottoso.
Discorso a sé riguarda la vecchia riserva di cinismo del Cavaliere che, presi gli schiaffi nella fase del negoziato di governo, ha poi cominciato a studiare il modo di mettere in pratica il motto pertiniano “a brigante, brigante e mezzo“. Ma di lui si dice che, non appena rassicurato sul futuro delle sue aziende, cederà sulla reattività rendendo ancora più fragile la sua organizzazione politica.
Fragile è, con evidenza, l’unico soggetto mediaticamente ancora in campo (il PD) a cui forse manca il tempo per la riorganizzazione necessaria in vista delle elezioni europee. E che ha, nel suo piano di marcia, una mezza guerra civile (mezza perché Renzi oggettivamente ha dimezzato voti e credibilità) da districare prima di far sentire una voce eventualmente nuova e nitida. Il resto sono cespugli, taluni coraggiosi ma poco efficaci – che agiscono sul web più che nel territorio – divisi e separati dallo schema di destra e sinistra, saltato per i giallo-verdi ma non per loro. Nella società agiscono invece componenti cristiane che per etica pubblica tornano a fare analisi e fare politica (tra cui si segnala il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire). E un civismo che (in certi contesti, non in tutti) non accetta l’invasione dell’incompetenza nelle questioni locali e ambientali essenziali (civismo che, come si sa, a Viterbo è scomparso).
Tre domande e un PS
Tre domande potrebbero aiutare a raccogliere opinioni sulla necessaria riorganizzazione dei pensieri.
- Quando arriverà – se arriverà – il giorno in cui, trovando più sensato quel che propongono Bersani e Calenda (due capaci di strattonare e costruire) rispetto a Zingaretti (blandire M5S) e parrebbe anche Martina (finora esponente del galleggiamento ma che sul congresso ha fatto chiarezza), il PD aprirà la costituente di tutti i soggetti (partiti e civismo) con cui rigenerare (un occhio umile alle migliori tradizioni; un occhio ambizioso alle competenze necessarie per capire il futuro) la più vasta offerta politica possibile di contrasto all’ambiguità e all’inefficacia del governo?
- Quando arriverà – se arriverà – il giorno in cui, in questa operazione, torneranno ad avere ruolo coloro che hanno continuato a coniugare politica e cultura, ovvero coscienza competitiva (che significa anche saper parlare all’impresa innovativa e non solo a quella impaurita) in ordine alle esigenze della classe dirigente di un paese in bilico come l’Italia?
- Quando arriverà – se arriverà – chi metterà sul tavolo delle elezioni europee del 2019 un pacchetto nuovo e ragionevole di proposte (non vaghezze retoriche, ma soluzioni sostenibili accettabili per il sistema democratico occidentale) per mettere i voti degli italiani al servizio di un rinnovato credibile ruolo interno e internazionale dell’Europa?
PS – Non dobbiamo scomodare né profeti né indovini per sapere che, in assenza di nostre attive risposte a queste domande, alle prossime elezioni europee la maggioranza degli italiani e la posizione dell’Italia saranno espressione in Europa da chi meno ha fatto per la costruzione dell’Europa stessa e più ha fatto per delegittimare e sprecare il contributo dei migliori italiani a sconfiggere i nazionalismi e a costruire la pace e la libertà nella diversità.