Il Super Tuesday rimette Biden in corsa per la candidatura a presidente degli Stati Uniti d’America. Un risultato importante che non riabilita solo l’ex vice di Obama ma anche le posizione più riformiste del partito che si oppone a Trump. “È una notte straordinaria, siamo più vivi che mai”, così ha dichiarato Joe Biden suk palco del Baldwin Hills Recreation Center di Los Angeles. Per capire le ragioni di questo successo e provare a leggere i prossimi scenari delle primarie americane ne abbiamo parlato con Gianluca Di Tommaso, analista di politica americana e fondatore di NightReview.
Biden si rilancia. La sua proposta politica, più riformista e meno radicale, inizia a riscuotere i primi successi.
In gergo sportivo, questo Super Tuesday è definibile come “un cappotto”. Joe Biden stravince negli stati del sud-est, quelli della Bible Belt che andavano al voto, vince anche a nord, in Minnesota ad esempio, in modo totalmente inatteso. E poi anche nel complesso rebus del Texas. Biden ha raccolto percentuali bulgare tra gli afroamericani e gli over 65. In tre giorni, dalla vittoria in South Carolina in poi, abbiamo assistito a un capolavoro politico.
Ha vinto stati in cui non aveva uffici sul territorio o in cui aveva speso solo poche migliaia di dollari in pubblicità sulle TV e radio locali, o ancora dove non aveva nemmeno messo piede, come il Massachusetts.
Quali scenari si aprono adesso in casa Dem con la vittoria di Biden?
Michael Bloomberg si è ritirato e appoggia Joe Biden, probabilmente anche a livello finanziario: un dettaglio non banale. Elizabeth Warren sta valutando il da farsi, soprattutto dopo il pessimo terzo posto in Massachusetts, lo stato in cui è eletta senatrice dal 2013. Probabilmente si avvierà anche lei verso il ritiro. Resterà una corsa a due: Sanders contro Biden.
Riuscirà ad avere il massimo dei delegati dopo queste primarie?
La rincorsa alla nomination è ancora molto lunga. Le proiezioni dei delegati vedono Biden in vantaggio, anche se non è ancora chiaro di quanto, perché la distribuzione in stati molto grandi come la California è complessa e saranno necessari dei giorni per avere il quadro chiaro. Di sicuro, Bernie Sanders non è uno che si arrende. E la possibilità che nessuno dei due arrivi ad avere la maggioranza dei delegati è ancora concreta. Al momento, leggendo i dati disponibili, con la coalizione creata, Biden potrebbe replicare agilmente ciò che ha fatto ieri in un gran numero di stati in cui si voterà nelle prossime settimane: Florida, Georgia, Maryland, Mississippi, Missouri, Louisiana, New Jersey, Connecticut.
Molte persone dello spettacolo, soprattutto donne, hanno sostenuto Sanders, ma non è bastato. Penso ad Emily Ratajkowski che dal suo account Instagram, 25,6 milioni di followers, ha apertamente dichiarato il suo sostegno per il senatore del Vermont. Social pieni ma urne vuote?
Con una battuta direi: Cher batte Emily Ratajkowski. Infatti, l’attempata cantautrice è una delle poche “vip” che sostengono Biden. Tornando seri, gli endorsement delle star lasciano il tempo che trovano. Valutando questo aspetto dal punto di vista della mobilitazione, però, si tratta della perfetta rappresentazione di un limite di Sanders: non è riuscito a mobilitare nuovi elettori come aveva promesso, secondo gli exit poll di NBC i giovani under 30 che si sono recati alle urne, e che sostengono in massa il senatore del Vermont, sono solo il 13% del totale dei votanti. Una percentuale davvero bassa.
Riusciamo a decifrare quale America ha votato in questo Super Tuesday 2020?
Nel campo dei Democratici, a fare la differenza a favore di Biden è stato sicuramente l’elettorato afroamericano, che dopo l’ampia vittoria dell’ex vicepresidente in South Carolina, si è mobilitato anche negli altri stati. Ad esempio, in Virginia nel 2016 l’affluenza era stata di 782,895 elettori, oggi è di 1,322,889: quasi il 70% in più. E in questo stesso stato Biden ha superato il numero di voti assoluti presi da Obama nel 2008. Tuttavia, non si sta votando solo per le primarie dei Democratici, bensì anche per quelle dei Repubblicani. Certo, se ne parla poco o nulla perché la nomination di Donald Trump è scontata. Ma nonostante questo, Trump riesce a mobilitare numeri altissimi di elettori alle urne.
Per fare un paragone, in quasi in tutti gli stati supera l’affluenza degli elettori che andarono nel 2012 a votare per nominare nuovamente Barack Obama alle primarie democratiche.
Dopo quattro anni di amministrazione Trump quale America voterà il prossimo Commander in Chief?
A prescindere da chi sarà il candidato dei Democratici, penso che le elezioni generali di novembre saranno l’apice di uno scontro imponente, un contrasto tra visioni culturali del mondo, non solo dell’America. E la campagna elettorale sarà durissima, penso di gran lunga peggiore di quella del 2016.