Quando capita di notare che il primo pensiero di un giorno felice, di un anno ai suoi promettenti albori è impigliato nella sofferenza per il rapporto intimo di un familiare con la droga, meglio affrontare un ragionamento pratico in alternativa alla solita commiserazione.
Allontaniamoci per un attimo dall’ossessione di Ruby – non è facile, lo so: lei stessa ha parenti inguaiati in questi giorni – ma proviamo con la concentrazione. Proiettiamo una luce su un punto di vista analitico svincolato da giudizi di valore. L’esercizio è semplice. Scriviamo un elenco di costi e opportunità. Le threats and opportunities del mondo anglosassone sono abbastanza impersonali per rompere con la sfera sentimentale.
Ci aiutiamo con un esempio: in famiglia c’è un utilizzatore abituale – anche finale – di droga, che in venti anni ha interrotto solo per brevi periodi. Quanto incide la sua condotta sul bilancio familiare? Ci sono costi variabili che ricordiamo per pura completezza d’analisi, consapevoli che di solito vengono sostenuti dal soggetto coinvolto. Siamo alla fase preparatoria. Lo scaltro tossicodipendente affronta presto la spesa di un bilancino di precisione. Sono ragazzi sempre all’erta, in un ambiente ad alto rischio di fregature.
Entrati nel vivo, sappiamo che dedicano altro tempo e denaro alla ricerca del distributore di zona: pratica che richiede un rinnovo periodico a causa del rapido e spesso involontario ricambio di fornitori. Avviata così la fase di consumo, assistiamo ai primi fenomeni economicamente gravosi per il nucleo familiare. Le frequenti inversioni delle fasi di veglia e sonno inducono un paradossale bisogno di calmanti durante la notte, abitata da forti nevrosi, e un visibile rincoglionimento di giorno, a causa dell’effetto post- scazzottata del mix droga e farmaci.
A breve distanza dall’inizio di questa fase è non di rado richiesto il primo intervento della famiglia. Qualcuno, infatti, deve farsi carico dell’onorario di specialisti e delle prescrizioni di costosi psicofarmaci non mutuabili; ed è noto quanto è facile far leva sul senso di colpa cattolico, ben radicato nelle famiglie italiane.
Altro aggravio economico dato dall’altalenante produttività sul lavoro. Incostanza dovuta, da un lato, all’inevitabile ammutinamento dei neuroni che abitano la zona bombardata dalle scariche elettriche; dall’altro, all’imbarazzante disinibizione delle corde vocali. Eh sì, perché il tossico non riconosce l’assenza di collegamento tra la parola e la centrale di pensiero. Il suo ego ha invece un irresistibile bisogno di attenzione e si lancia impavido in drammatici e sconclusionati assoli. Invadente debolezza che non manca di ricadere sull’impegno di colleghi rassegnati, amici e familiari indulgenti.
Le perdite straordinarie. Sono collegate al livello di logorio delle narici e possono essere dovute ad ammanchi di varia natura. Questo comporta non solo il danno materiale, ma con facilità causa dissapori, ingiustificati allontanamenti di personale di servizio e nefasti sospetti. Di solito si tratta di atteggiamenti che vengono giustificati con l’inconscio bisogno della famiglia di contenere il problema entro le omertose mura domestiche.
Infine, non un dettaglio, va considerato il costo sociale dell’individuo che distrae fondi. Altro che patrimoniale! Una cedolare secca sui beni in polvere rimpinguerebbe le casse dello Stato in un soffio. Aggiungiamo il nutrito impiego di forze dell’ordine per contrastare il dilagante fenomeno. Non trascuriamo l’incidenza del paziente ascolto degli agenti di polizia giudiziaria e la cancelleria sprecata per registrare dichiarazioni spesso deliranti. E subito salta all’occhio l’aggravio della mole di lavoro della giustizia, costretta a perseguire crimini quantificabili in grammi.
Come se ne esce? Proviamo ad immaginare che i protagonisti di questo logorante stile di vita pianifichino un colpo grosso ai danni di un target a loro familiare. Ad esempio una rapina a degli usurai, ai gestori di giochi d’azzardo clandestini, o ad altro lucroso ramo del crimine organizzato a scelta. Da questo punto cominciamo a leggere le potenziali opportunità. Immaginiamo i neuroni in fuga dei protagonisti cercare un contatto per dar corpo al piano. A tal proposito gli esperti dicono che l’euforia procurata rappresenta un valido sostituto delle sostanze psicotrope. Primo effetto concreto: la diminuzione di discorsi senza capo né coda.
Se poi il colpo fallisce, i soggetti vengono tolti dalla strada, la domanda diminuisce, l’offerta si contrae e, puff…, riemerge il tanto ricercato sommerso. II ritiro forzato dalle scene consente utili periodi di lettura, il riacquisto della sensibilità e in alcuni casi si è vista riaffiorare la gratitudine per il dono della vita. Mio fratello, ad esempio, durante una fase illuminata ha coniato l’aforisma: vivere mi piace da morire.
Se invece i rapinatori non vengono presi, comunque non si vanifica il risparmio per la società, grazie alla concentrazione delle forze dell’ordine in interventi mirati, più gratificanti e alla riduzione delle chiamate notturne dei familiari ansiosi. Infine non trascuriamo il conseguente miglioramento della cura ambientale, pur senza l’ausilio di igieniste famose. Mi riferisco alla pulizia del denaro, di tavoli e scrivanie, specchietti e piani in marmo, con meritato sollievo delle donne di servizio. Se a condimento del tutto ci si mette anche un pizzico di fortuna, è lecito sperare di ottenere nientemeno che la riduzione dei conti in rosso nel bilancio domestico.