Se la magistratura e la giustizia italiana godessero di buona e solida reputazione nel Paese, Silvio Berlusconi non avrebbe vinto tre volte su cinque le elezioni politiche. Se l’istituzione giudiziaria non fosse percepita e vissuta come “un problema” da molti milioni di italiani, l’uomo politico che incarna in modo apertamente conflittuale il rapporto con i tribunali non sarebbe ancora, 17 anni dopo, in grado di compattare attorno a sé una maggioranza e un “blocco sociale” che sembrava in dissolvimento appena pochi mesi fa. Si dirà – si dice spesso – che il problema è del Paese: un Paese truffaldino, che non ama le regole, che preferisce l’imbroglio alla fatica. E quindi, in sostanza, che nella sua maggioranza relativa preferisce l’illegalità alla legge e ai suoi garanti, cioè i magistrati. È un’analisi manichea e autoconsolatoria per una minoranza di puri, che si contrappone a quelle di tono opposto e speculare: i magistrati sono tutti politicizzati, sono sostanzialmente “fannulloni”, e così via. Non vale la pena di tediare nessuno con le dichiarazioni settimanali di donne e uomini politici più o meno noti: ma le opposte tifoserie sono ben rappresentate in Parlamento, e ormai da molti anni. Il nodo non è mai stato sciolto né seriamente affrontato: e questo fa pensare che, in fondo, le opposte convinzioni mantengano un equilibrio, un controllo e una rendita di posizione, anche se certo non spingono il Paese a diventare migliore, né il sistema giudiziario a funzionare meglio.
Proprio per questo, la doppia proposta che arriva dalla maggioranza in queste ore apre uno scenario simbolico nuovo. Da un lato, l’avvocato del premier e parlamentare del Pdl Niccolò Ghedini, annuncia la disponibilità di Silvio Berlusconi a partecipare a tutte le udienze dei processi milanesi. A difendersi, insomma, nel processo, e non dal processo. Silvio Berlusconi rifiuta un confronto coi giudici di Milano ormai da anni, e l’annuncio del suo legale è una sorpresa che in pochi si aspettavano. Per quanto ci riguarda, è una bella sorpresa. Pone dei paletti “pratici”, dice che potrà dedicare ai processi tutti i lunedì: fossimo la magistratura (e l’opposizione) non perderemmo l’occasione per rivedere Berlusconi in aula a fare – come dice un Enrico Letta, tra i leader di un Pd un po’ spiazzato – il «suo dovere di imputato». Non pare irragionevole, come ha detto invece Niccolò Ghedini, che un giorno alla settimana è il massimo che si può chiedere a un Presidente del Consiglio.
Anche perché a Roma ci sarà ancora di più da fare – e veniamo alla seconda proposta che viene dal Pdl – se davvero la riforma della Giustizia annunciata per punti dal ministro Angelino Alfano dovesse iniziare il suo cammino. «Una riforma costituzionale, che sarà pronta tra molti anni e che quindi non avvantaggerà Berlusconi ma il Paese e i suoi cittadini», per sintetizzare il pensiero di Alfano. Una svolta «epocale, che porteremo già giovedì in consiglio dei ministri», secondo gli annunci del premier. Il ministro ha anche espresso i principi cardine cui si ispira la sua riforma: «Accusa e difesa devono essere alla pari e quindi devono essere giudicati da un giudice imparziale. Oggi pm e giudici si danno del tu e hanno stessi uffici e uguale Csm». Poi: «Se un magistrato sbaglia, come per i medici e gli avvocati deve esserne responsabile». L’ultimo punto indicato dal ministro è la riforma del Csm perchè «se la magistratura deve essere autonoma dai poteri, deve essere anche senza nessuna influenza interna e, quindi, devono essere giudicati da un organismo terzo». Inoltre, nelle prime indicazioni che emergono dalla futura proposta, si manterrebbe l’impianto costituzionale che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, cioè il principio per cui l’apertura di un procedimento ogni volta che c’è una notizia di reato non è discrezionale. L’intoccabilità del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è peraltro un punto cardine del programma di ogni “partito dei magistrati”.
Senza che esista ancora una declinazione concreta del modello di riforma, sembrano queste proposte di buon senso, che toccano alcuni dei temi che rendono l’immagine e l’azione della magistratura particolarmente debole di fronte alla cittadinanza, e la retorica berlusconiana piuttosto forte.
Ricapitoliamo: Berlusconi annuncia che andrà a processo e si propone una riforma con toni e proposte che paiono ragionevoli e quasi dialoganti.
Tutto bene, allora? Insomma, non proprio.
Si fatica infatti a credere che le strade indicate verrano percorse. Il riflesso condizionato del passato che ha costruito questo lungo presente ci fa pensare che niente o quasi succederà. Se fossimo obbligati a farlo, scommetteremmo che Berlusconi non andrà tutti i lunedì a Milano in un rimpallo inestricabile di colpe e responsabilità. La riforma della giustizia si perderà presto in un gorgo di polemiche incrociate, di insulti, ritorsioni, minacce e trattative. Tutto rimarrà com’è, insomma: con chi si sente minoranza eletta a coltivare il proprio senso di superiorità, e chi si descrive vittima dell’Ingiustizia a farlo con ancor più forza.
Ma naturalmente è una scommessa che perderemmo volentieri.