Se il nucleare trascinasse con sé il legittimo impedimento?

Se il nucleare trascinasse con sé il legittimo impedimento?

Se digitate su Google il nome Marco Beltrandi, il parlamentare dell’opposizione che ieri ha salvato la maggioranza sull’election day, vi usciranno diverse cose. La prima che è radicale e quindi nel senso più laico non c’è da fidarsi. La seconda è che lo scherzetto di salvare i più forti, gli venne facile praticarlo, e con grande successo, già in una precedente, quanto straordinaria occasione. Grazie a lui, infatti, i talk show politici sparirono incredibilmente dai teleschermi per un intero mese a partire dal 28 febbraio 2010. Si votava per le Regionali del 28-29 marzo e Beltrandi, insieme alla destra, assimilò gli approfondimenti politici alle tribune elettorali. Venne naturalmente massacrato.

Sull’election day, invece, Beltrandi ha fatto valere la sua storia radicale, la cosiddetta antica purezza radicale. Ha votato insieme alla maggioranza, perché – dice lui – quel marchingegno dell’accorpamento sporcherebbe la battaglia referendaria che in qualche modo non gradisce “aiutini” per arrivare al quorum. Giudicate voi.

Pensate che nel 2000 Pannella tirò a D’Alema premier uno scherzetto memorabile. L’attuale presidente del Copasir voleva aggregarlo alla sua maggioranza e, per convincerlo, gli propose l’accorpamento delle Regionali con i referendum radicali. Un piatto molto ghiotto che Pannella rifiutò, nonostante i quesiti referendari fossero di straordinario spessore: finanziamento ai partiti, quota proporzionale, elezione del Csm, articolo 18, separazione delle carriere dei magistrati, incarichi extra-giudiziali, trattenute sindacali. Si votò, separatamente, il 21 maggio 2000 e l’affluenza arrivò a un misero 32%. Quelle riforme liberali avrebbero probabilmente cambiato la faccia del nostro Paese.

Sul mancato accorpamento, non sono mancate le solite polemiche sui soldi sprecati. Da sinistra, c’è chi ha parlato di 300 milioni, da destra hanno risposto che non sarebbero più di 50-60. Ovvio che ogni fase storico-economica ha una sua precisa fisionomia e non pare questo il momento di buttare così tanti denari.
Ma non si può nemmeno far demagogia sulle colpe “solo” di certi governi, visto che spesso anche in campo avverso le cose sono andate nello stesso modo. Risalendo al ’97, rimane agli atti uno storico no all’accorpamento dell’allora ministro degli Interni, Giorgio Napolitano, insieme all’intero governo. Il nostro attuale Presidente della Repubblica, investito dalle polemiche, sentì addirittura la necessità di scrivere una lettera al Corriere delle Sera in risposta a un articolo di Piero Ostellino. Nella lettera, che vi alleghiamo, Napolitano oppose ragioni tecnico-giuridiche ma anche la necessità di avere due campagne elettorali distinte.

Oggi, nonostante il brodino alla Camera, il governo sta provando un brivido sottile di paura. Vero, votare a giugno sarebbe un modo neppure troppo nascosto per affossare gli entusiasmi. Gli esperti dicono che un ottavo della popolazione è già in vacanza, in virtù della chiusura delle scuole. Ma non è stato sempre così: gli ultimi referendum vinti risalgono al ’95 e si votò proprio l’11 giugno.

Naturalmente, ogni discorso virtuale sulla possibilità o meno di riuscita di un referendum, assume una luce diversa (e sinistra) di fronte al disastro del Giappone. Trattandosi di nucleare, è chiaro che il quesito potrebbe avere un trascinamento naturale per la grande paura che ormai è diffusa in tutte le famiglie. Ma non c’è, da parte del governo, solo la paura di essere battuto sul nucleare. Uno tre quesiti è particolarmente “sensibile” e riguarda proprio il legittimo impedimento. E se il trascinamento dell’onda nucleare sommergesse anche le necessità del Cavaliere?