Sulla Libia la Turchia è stata molto più astuta di Silvio

Sulla Libia la Turchia è stata molto più astuta di Silvio

La Turchia temporeggia. L’unico Paese della Mezzaluna a vocazione europea è passato in pochi giorni dalle grandi ambizioni a diventare un mediatore preferenziale in Medio Oriente, scalzando l’Egitto, a un profilo a dire poco basso nella situazione libica. Ma che alla fine potrebbe rivelarsi molto più furbo di quello indeciso dell’Italia.

Dall’inizio della crisi nel Paese nordafricano il premier islamico moderato, Recep Tayyip Erdogan, ha cambiato registro rispetto ai toni duri che usato contro l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak. All’opposizione e alla stampa, che lo criticavano, aveva risposto che lo faceva per gli oltre 30mila connazionali turchi presenti sul territorio libico. Poi però i cittadini della Mezzaluna sono stati evacuati, con una task force e una tempistica che ha ricevuto complimenti da tutta la comunità internazionale e della quale hanno beneficiato anche migliaia di stranieri. I toni del premier sono rimasti gli stessi.

Fatti due conti, non si può certo dire che Erdogan non stia pensando nel modo più accorto agli interessi nazionali e si capisce bene perché definisca il Paese nordafricano “amico, anzi fratello”. Il rapporto fra Turchia e Libia, presente già dai tempi dell’impero ottomano e andato avanti per decenni ad alti e bassi, è migliorato progressivamente negli ultimi 4 anni, in maniera non poco casuale mentre si deterioravano le relazioni fra Ankara e Israele.  E si tratta di un rapporto particolarmente proficuo per la Mezzaluna, visto che lo scorso gennaio si è assicurata contratti per 15 miliardi di dollari nei prossimi anni, soprattutto nel settore costruzioni. Nel 2010 l’interscambio fra le due nazioni è stato di 2,2 miliardi di dollari, il 60% in più rispetto all’anno precedente e secondo stime di Ankara arriverà 10 mld di dollari in 5 anni. Al momento ci sono oltre 200 aziende turche operanti sul territorio.  Le relazioni sono esplose nel 2009, guarda caso dopo che c’era stata l’operazione israeliana “Piombo Fuso” sulla Striscia di Gaza e alla quale Erdogan si era opposto con forza, arrivando ad attaccare in mondovisione il presidente israeliano Simon Peres durante il World Economic Forum a Davos.

Turchia e Libia hanno eliminato i visti e firmato diversi accordi, soprattutto investimenti turchi nel campo dell’agricoltura e trasporti. A novembre 2010, l’altro ieri praticamente, il premier turco è stato insignito del premio Gheddafi, un riconoscimento che viene consegnato ogni anno alle persone che si sono particolarmente distinte nel campo della tutela dei diritti umano e che il premier ha preso per le posizioni anti israeliane e in favore delle popolazioni sulla Striscia di Gaza. 

Nelle scorse settimane Erdogan ha glissato sull’eventuale riconsegna del riconoscimento, in compenso ha dichiarato più volte di essere contrario a sanzioni contro Tripoli «che avrebbero come primo effetto quello di accanirsi sulla popolazione». Poi si è dichiarato «categoricamente contrario a qualsiasi tipo di intervento armato», sottolineando come «attacchi militari in altri Paesi hanno peggiorato la situazione». Nei giorni scorsi, in un’intervista ad Al Arabiya ha addirittura confessato di aver parlato con Gheddafi tre volte in pochi giorni. «Ho chiamato Gheddafi tre volte – aveva detto – e gli ho proposto di nominare qualcuno che possa attirare il supporto del popolo libico per l’immediato futuro». Il premier turco ha aggiunto anche di avere parlato con il figlio del dittatore e che si aspettava che il raìs prendesse «tutte le decisioni del caso».

Alla luce dei fatti, è chiaro che Gheddafi gli abbia dato poco ascolto e a quel punto Erdogan ha scelto quello che è più conveniente per la Turchia: il silenzio. Ankara, che pure fa parte della Nato, ha fatto solo sapere che prende atto della risoluzione Onu e che «per il momento» è contraria all’attacco armato, ribadendo la vicinanza al popolo libico.

Mettendosi nei panni turchi sono stati tutto fuorché stupidi. I negoziati per l’ingresso in Ue vanno male e Washington è insospettita dalla condotta estera della Mezzaluna. Gheddafi, fino a prova contraria, non è ancora caduto e un’adesione forte all’attacco oggi potrebbe compromettere opportunità di mediazione domani. Dall’altra parte, poi, c’è il ruolo leader nel mondo arabo e soprattutto tanti, tanti affari. Che rendono quello di Ankara un silenzio d’oro.