Il giorno dopo la grande epurazione di Cesare Geronzi dalla presidenza di Generali, i giornali finanziari internazionali celebrano la fine di un ciclo. Il più discreto è il Financial Times, dalle cui colonne è iniziata la parabola discendente del banchiere romano. Forse il direttore Lionel Barber non ha voluto calcare la mano, dopo la Lex Column infuocata di ieri, vero e proprio necrologio per Mr. Geronzi. Dalle pagine del Wall Street Journal arriva invece un duro attacco nei confronti dell’ex numero uno di Mediobanca. «Le dimissioni di Geronzi sono un bene per la compagnia e per l’Italia», scrive Hester Plumridge nella rubrica Heard on the street. Per l’Economist, nulla da rilevare. Nella homepage del sito della testata capeggia il Rubygate. I procedimenti giudiziari contro Silvio Berlusconi sono più importanti della fine del banchiere italiano più potente. Almeno fino a ieri.
Il WSJ non lascia invece scampo alla cacciata di Geronzi. Pur non addentrandosi più di tanto nelle ragioni che hanno portato alle dimissioni, il quotidiano di Rupert Murdoch prende atto che è avvenuto qualcosa di epocale nel sistema del corporate Italia. Vengono passati in rassegna tutte le partecipazioni di peso nel gotha della finanza italiana, sottolineando come la lunga mano di Geronzi abbia troppo spesso fatto più danni che benefici. L’ultimo esempio è proprio quello delle Generali. Nel suo periodo di presidenza il potere che ha saputo crearsi negli anni è parso essere più un deterrente per gli investimenti delle big italiane che una virtù. Da quando Geronzi è arrivato al vertice il titolo a Piazza affari ha perso oltre il 5%, cioè più del listino stesso. Certo, le tensioni a livello macro, considerando anche la crisi dei debiti sovrani, hanno colpito due settori in particolare, assicurativo e bancario. Generali però è sempre stata prudente negli investimenti, ha sempre avuto una notevole potenza di fuoco e la sua solidità, anche sotto il profilo della governance, è sempre stato un vanto in ambito europeo.
Diverso il discorso per il quotidiano della City. La fine di Geronzi si è materializzata quando ha deciso di rilasciare un’intervista, lo scorso 14 febbraio, proprio al Financial Times. I riferimenti agli investimenti del gruppo sono apparsi in netto contrasto con quanto invece detto in novembre dall’amministratore delegato Giovanni Perissinotto. Dure le critiche, anche nei giorni successivi, sulla scelta di Geronzi di puntare su banche italiane, Sud America e Ponte sullo Stretto. E oggi, nel day after del cda più tormentato del Leone triestino, il FT è piuttosto cauto. Del resto, aveva già sparato le sue cartucce ieri, con il benservito giunto dalla Lex Column. «Generali merita un destino migliore», ha scritto la testata londinese. Detto, fatto. Cacciato Geronzi, la tranquillità è tornata a Trieste.
Anche un altro giornale della City prende in esame il destino delle Generali. È City A.M., il free press più letto fra Canary Wharf e Miglio quadrato. Nella Londra finanziaria, è una bibbia quotidiana, capace di arrivare negli uffici più influenti. «Le dimissioni di Geronzi segnano la fine di un’era nel ciclo economico italiano e, probabilmente, la fine della carriera ad altissimo livello del banchiere». Singolare il posizionamento. Taglio alto di pagina 3, una delle più importanti della testata di Allister Heath. Anche per questo angolo della City, non vi era soluzione migliore.
Dalle colonne elettroniche dell’Economist, invece, il nulla. A tirare, sul fronte italiano, il Rubygate. Il processo di Milano in cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è coinvolto continua a incuriosire molto più che le vicende di Trieste. Per una volta tanto, il direttore John Micklethwait ha deciso di non parlare dei soliti giochi di potere all’italiana, fra conflitti d’interesse e spartizione di poteri. Non è detto che sia una buona notizia.