Negli Emirati Arabi spariscono blogger e avvocati

Negli Emirati Arabi spariscono blogger e avvocati

DUBAI CITY – Dopo Bahrain, Oman, Arabia Saudita e Yemen, inaspettatamente vacilla anche la monarchia emiratina. E la prima reazione del Governo è l’intimidazione. Quattro attivisti per i diritti umani e oppositori dell’attuale politica dello sceicco, il blogger Ahmed Mansoor, l’avvocato Mohamed Al Mansoori, lo scrittore Fahad Al Shehhi e l’analista economico Nasser bin Ghaith, sono scomparsi dalle loro case a Dubai, Ajman e Ras Al Khaima.

A denunciarlo é l’associazione Human Rights Watch, contatta dalle famiglie dei quattro uomini dopo la loro sparizione. Il primo é stato incarcerato prima con l’accusa generica di “atti criminali”, poi il suo avvocato ha fatto sapere che gli é stato imputato come pretesto il possesso illegale di alcol (contrario alla legge della Sharia). Degli altri tre non si hanno al momento notizie certe, ma con ogni probabilità si trovano in carcere anche loro. Qualche settimana fa un gruppo di oltre 160 professori universitari, avvocati, ingegneri, ex funzionari di governo, registi, scrittori – tra i quali i tre attivisti – avevano spedito una petizione al presidente Khalifa bin Zayed Al-Nahayan chiedendo riforme democratiche anche negli Emirati Arabi Uniti. Nel documento rivendicavano elezioni dirette dei membri del Consiglio federale nazionale e suffragio universale.

«La situazione qui – ci ha spiegato l’avvocato Mohamed Al Mansoori poco prima della sua sparizione – non é molto diversa rispetto agli altri paesi arabi che in questi mesi stanno vivendo proteste e manifestazioni di piazza. Nel mio Paese non c’é uguaglianza tra i cittadini né rispetto per i diritti umani: gli Emirati non sono uno stato civile, ma uno stato di polizia. Non é concessa la partecipazione politica del popolo e chi ci governa é convinto sia sufficiente un Pil alto per controllare il Paese: pensano che anche le persone siano una loro proprietà e non condividono nulla democraticamente con i cittadini».

Al Mansoori, giá arrestato in passato per avere criticato la politica del Governo, aveva in qualche modo preannunciato quello che sta accadendo: «In questi giorni – aveva detto l’avvocato – i nostri governanti sono molto preoccupati e stanno mandando messaggi, diretti e indiretti, per metterci in guardia da manifestazioni di piazza». Lo stesso Mansoor, prima del suo arresto, ha raccontato a Human Rights Watch che all’inizio di aprile aveva ricevuto sei minacce di morte, oltre a essere vittima di una campagna diffamatoria online su Facebook e Twitter. Non solo: il suo capo, nella compagnia di telecomunicazioni per la quale lavorava, voleva trasferirlo in Pakistan dopo alcune pressioni ricevute “dall’alto”. Intanto il suo blog (Uae Hewar) é stato oscurato.

Secondo Human Righs Watch si tratta «di un gravissimo atto intimidatorio per spaventare e scoraggiare chi sta chiedendo maggiore democrazia nel Paese. Mentre gli altri governi della regione stanno discutendo le riforme, il Governo degli Emirati sta attuando una repressione d’altri tempi». In nessuno dei sette emirati esiste un’opposizione ufficiale; ci sono solamente gruppi di dissidenti che, come Al Mansoori, da anni si battono per i diritti umani e per le riforme, senza tuttavia essere riusciti a creare un movimento. Questa volta, peró, sulla scia delle rivolte nei Paesi vicini, grazie a un sito internet (in arabo) e a un tam tam via e-mail, hanno fatto circolare la petizione e informazioni per organizzare altre forme di protesta.

Nella speranza di soffocare la tensione e scongiurare l’effetto contagio di Bahrain, Oman e Arabia Saudita, il Governo ha introdotto a febbraio alcune piccole riforme politiche, aumentando i membri del Consiglio eletti dal popolo, mentre a inizio marzo ha speso 5,7 miliardi di dirham (1,55 miliardi di dollari) per acquedotti ed energia elettrica nelle zone più povere del Paese. E se é vero che in tutte le monarchie del Golfo, alla base delle proteste, ci sono motivazioni simili, negli Emirati é differente la fascia della popolazione che si sta preparando alla mobilitazione: non sono operai, come nella vicina cittá industriale omanita di Sohar, né giovani e studenti, come gli sciiti bahrainiani della Rotonda delle Perle di Manama, e non si tratta nemmeno della gente comune impoverita dal costo della vita sempre piú alto e dalla disoccupazione, come accade in Yemen o in Arabia Saudita. Negli Emirati a chiedere piú diritti e democrazia é parte dell’intellighenzia del Paese, quella esclusa dal potere nei decenni di governo della famiglia reale.

«In 39 anni dalla Costituzione – si legge nella petizione indirizzata allo sceicco-, non é avvenuto alcun percorso di crescita della partecipazione politica. Con piena consapevolezza della Vostra Altezza, è nostra convinzione che gli sviluppi regionali e internazionali richiedano un rapido sviluppo del processo di partecipazione nazionale». Nel Paese il Consiglio federale é composto da 40 membri, metá dei quali eletto direttamente dai sette emiri, e l’altra metá dallo 0,1% della popolazione che ha diritto di voto. Il documento chiede dunque l’elezione diretta di tutti i membri del Consiglio con suffragio universale – «come avviene in ogni paese democratico del mondo» scrivono nel documento – e di dare poi al Consiglio la facoltá di legiferare.  

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