La vittoria di due solitari che non hanno un partito

La vittoria di due solitari che non hanno un partito

Nella vittoria di Pisapia e di De Magistris c’è qualcosa di più profondo del nudo risultato elettorale, persino della portata straordinaria di un evento che potrebbe scardinare gli equilibri nazionali. Ed è la solitudine di due uomini tra loro molto diversi che, in qualche misura, si ribellano alla politica nelle sue forme più borghesi e omologate, violentandola con la forza della propria autodeterminazione.
Per farla breve: nessun partito, ma neppure nessun movimento dal basso, ha indicato all’origine i due candidati, che sono scesi in campo e poi si sono imposti, unicamente sulla base di una convinzione personale, di una passione interiore, di una follia evidentemente lucida. Che questi sentimenti, così poco legati alle dinamiche di palazzo, siano stati in grado di imporsi sulla “vecchia” politica, è il segnale inequivocabile di un cambiamento.

Se possibile, la vittoria dell’avvocato milanese porta con sé un quid di straordinarietà in più, lontano com’era dalla politica attiva, almeno dal suo proscenio più abusato che è quello di Montecitorio. De Magistris, se non altro, si portava appresso qualcosa dell’Italia dei Valori e del suo mondo di riferimento, anche se decisamente privo dell’aderenza sentimentale al suo leader naturale, Tonino Di Pietro. Ma insomma, quelle quattrocentomila e passa preferenze alle Europee qualcosa dovevano pur valere.
Gli elettori hanno particolarmente apprezzato lo sbarramento della nomenclatura, valutandolo come il miglior certificato di “purezza” dei candidati, i quali hanno potuto giocare in modo lieve ma intelligente in quel territorio di un’anti-politica che in questo momento ha evidentemente una sua aderenza con gli elettori. Il fatto di non essere stati indicati nè dal Pd, né dall’Idv (ma per Pisapia inizialmente nemmeno dal Sel, che solo a candidatura conclamata ha messo la sua coccarda) ha decisamente fortificato il candidato “straniero”, creando valore aggiunto. A Milano, per il PD il prescelto era l’inconsistente Boeri, a Napoli il solito prefetto stanco e perbene. Letteralmente spazzati via.

Naturalmente, nelle polverose segreterie ogni partito avrà stilato le sue analisi, a maggior ragione all’interno del Pdl ferito. Ma giusto per non alimentare soverchie illusioni, dovremmo convenire che anche questa lezione di totale scollamento dalla società servirà probabilmente a nulla. Pd e Pdl vivono debolezze simili, anche se differenti nel loro sviluppo.
La sinistra ha sin troppa considerazione di sé, antica nelle sue forme e derivazioni, per immaginare di farsi commissariare dalla passione dei singoli o, peggio, da mutamenti della società che non riesce a percepire. Sbatterci addosso tutto d’un colpo, con il fragore di queste elezioni, è un trauma troppo forte per potersi trasformare in resipiscenza propositiva. Ma è un fatto ormai che l’identificazione della classe dirigente si sta trasformando in una vera e propria patologia, con punte incontrollate di paura: chi sarà il prossimo (perdente)?
A destra, il riflesso è talmente condizionato dal suo leader che è quasi impossibile ragionare unicamente sulle capacità dei singoli candidati. Anche la migliore delle campagne elettorali risentirà inevitabilmente degli umori, della situazione, dell’equilibrio politico di Berlusconi. La scelta delle persone assume così un rilievo quasi secondario, rispetto alla personalissima battaglia che il Cavaliere in quel momento sentirà di dover intraprendere.

E’ evidente che questo passaggio elettorale ha chiarito, ancora una volta se era necessario, che un nuovo percorso politico si può fare. Una strada, se possibile, che eluda i partiti senza disprezzarli, che eviti la sopraffazione degli impiegati a tempo pieno della politica e che liberi le istanze più vere e profonde dei cittadini. Una ribellione consapevole, non dettata dall’astio, ma da esigenze interiori che si affrancano dalla tirannia delle segreterie e che catturano un sentimento più collettivo.
Due persone – ripetiamolo: molto diverse tra loro – lo hanno capito per tempo. E adesso sono i sindaci di Milano e Napoli.  

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