Noi che aspettavamo la linea del Corriere sulla Moratti

Noi che aspettavamo la linea del Corriere sulla Moratti

Dovremmo qui continuare il nostro viaggio sentimentale all’interno del giornale che più ci appartiene, il “nostro” Corriere della Sera. Questa identificazione appassionata ci viene non certo per mano divina, ma per quella radice antica di rispetto e di decoro, condivisa dai padri fondatori di questo povero mestiere, secondo cui i veri padroni dei giornali sarebbero i lettori.

Non è vero, naturalmente, o lo è in parti davvero micro cellulari rispetto all’andamento lento del nostro giornalismo. Ma ridiventiamo improvvisamente padroni, noi cittadini pagatori fissi di quell’obolo da un euro e venti ogni mattina, quando sentiamo che la misura è colma e decidiamo, con sommo, sommo dolore, ma anche con un senso di liberazione, che è giunto il momento di cambiare giornale di riferimento. O addirittura – ma in questo caso da padroni ci trasformiamo in sadici esecutori – di non leggere più e starcene comodi comodi sulla Rete, chè tanto “ti dà tutto”.

Ieri a Milano è successo qualcosa di straordinario. Giornalisticamente, ma anche sotto l’aspetto sociale e politico. Dunque, un’autentica ghiottoneria doversi occupare dell’affaire Moratti che dà del ladro di macchine a Pisapia con tanto di sventolio di sentenza, rivelatasi poi una delle bubbole più impapocchiate della storia, persino più delle premonizioni del tenero Bendandi sul terremoto di Roma. Immaginiamo il fervore con cui ogni redazione ha cucinato l’argomento, la passione dell’analisi, la ricerca dell’origine di un simile agguato, insomma la migliore preparazione per soddisfare il lettore di riferimento. E infine, verso il calar delle tenebre, la scelta più difficile e ponderosa: dare una linea al giornale.
 

Perché è di una linea che noi lettori abbiamo bisogno, che non significa stare acriticamente con quello o con questo, né imporci stolide rappresentazioni dei fatti, ma più semplicemente offrire degli strumenti, dei semplici utensili del pensiero, a cui l’officina della prima pagina, la cosiddetta vetrina del giornale, spalanca le sue porte, riconoscendo, come modesti cani da tartufo, ragioni e torti. E badate bene, non è un esercizio di troppa arroganza o di sbilanciamento della serenità giornalistica doversene occupare, come se ragioni o torti fossero sempre e comunque irraggiungibili. Ogni tanto, ragioni e torti si fanno (volentieri) stanare. Questo è il caso?


E andiamo nel doloroso dettaglio. Questa mattina, per spiegare la faccenda Moratti-Pisapia, il Corriere compone questa prima pagina. Titolone: «Si infiamma la sfida di Milano». Occhiello: «Il sindaco rievoca una vicenda degli anni di piombo, il rivale parla di killeraggio». Catenaccio: «Moratti: Pisapia rubò un veicolo». La replica: «fui assolto, la querelo».

Sino a qui, neppure un esegeta spinto, esagerato, estremo dello stile del Corriere, sarebbe in grado di capire se qualcuno, tra i due, sbaglia, mente, scivola. E allora è meglio spostarsi sull’editoriale, che generalmente sgombra i dubbi (o magari ne propone di nuovi): «Tra polemiche e programmi». Vera depressione. Il lettore del Corriere continua a non sapere, anche se noi lettori, a dirla tutta, vorremmo tanto essere etichettati come quelli che “non potevano non sapere”. Ma tant’è, c’è un terzo e ultimo pezzo che forse salva tutta la baracca. Parla delle carte. Finalmente. La gioia dura la spazio di un frammento, e poi si spegne: «Cosa dicono quelle carte». Neppure, chessò, «Le carte parlano chiaro», no, niente che porti a un elemento di chiarezza. E non è consolante che poi a pagina cinque, l’implacabile Ferrarella ricostruisca tutto – ragioni e torti – in modo impeccabile.
 

Abbiamo voluto dare un malinconico sguardo agli altri giornali. Dolendocene assai, perché, al fine, ne è uscita la conferma che il giornale di Milano è rimasto assente per sentimenti e convinzioni, ammesso che sentimenti e convinzioni – ma noi crediamo di sì – possano stare insieme in un’opera professionale complessa com’è un quotidiano. La Stampa, altra vetrina liberal, oggi ha in prima due articoli “scandalosi”, e scandalosamente titolati: «Paura di perdere» e «Caccia al pataccaro». Non parliamo del Foglio a cui l’Elefantino impietosamente imprime una linea inequivocabile: «Scusarsi con Pisapia», e poi di Libero che non difende la Moratti neanche un po’.

Un’ultima cosa. Il Corriere è sempre stato il giornale che ha fatto dello stile un punto distintivo, orgogliosa coccarda da esibire nella volgarità dominante. E sullo stile dei piccoli gesti, come aprire la porta di una vettura a una signora ma tanto altro, ci ha raccontato mirabilmente Lina Sotis in tutti questi anni. Possibile che sullo stile della signora Moratti, via Solferino 28 non abbia avuto nulla da (ri)dire?