A Pantelleria, in vacanza col fantasma di Gheddafi

A Pantelleria, in vacanza col fantasma di Gheddafi

PANTELLERIA (Tp) – Nemmeno Giorgio Napolitano, in occasione della Giornata dell’Africa, lo ha nominato esplicitamente. L’appello é stato chiaro, ma il nome del Colonnello non é mai stato pronunciato: quasi a voler chiudere e non pensare più a un pezzo di storia e di politica estera italiana che per chissà quanto tempo avrà i suoi strascichi. «Auspichiamo – ha detto il capo dello Stato – che chi resiste agli appelli della comunità internazionale e continua a sfidarla, desista al più presto in modo che il popolo libico possa perseguire le sue legittime aspettative di libertà, giustizia e democrazia». Intanto la Nato ha dichiarato che i bombardamenti dureranno almeno fino a settembre.

Ma c’é un luogo nel quale il fantasma di Gheddafi é molto reale: l’isola di Pantelleria. “Bent el Riah”, la figlia del vento, come la chiamavano gli arabi, porta su di sé i segni dei risvolti più drammatici dei legami tra Libia e Italia. A cominciare da un tragico paradosso: i barconi carichi di immigrati si incagliano poco distante da quello che tutti sull’isola chiamano «l’albergo di Gheddafi». E non è solo un appellativo. L’hotel Punta tre Pietre, questo il suo vero nome, è di proprietà di una società maltese riconducibile al Rais. Un edificio enorme, scempio per le incontaminate coste pantesche, ristrutturato infinite volte, ma chiuso dagli anni Ottanta per volontà della proprietà. Sull’isola non amano parlare del Colonnello, ma in molti dicono che possiede anche diverse terre. Nulla di strano, perché fino a qualche mese fa (e dall’accordo Italia-Libia del 2009), Gheddafi era «l’amico Muammar».

L’hotel Punta tre Pietre (e.n.)

La maggior parte dei migranti che sbarcano a Pantelleria arrivano dalla Tunisia, appena 70 chilometri di distanza, meno degli 85 da cui dista la Sicilia. «L’immigrazione è iniziata oltre dieci anni fa – spiega Salvatore Belvisi, funzionario del Comune – e si è sempre manifestata con sbarchi sporadici e con un numero medio di circa dieci persone alla volta, con qualche rara punta di oltre cento. Con la crisi del Nord Africa, gli emigranti continuano ad arrivare principalmente dalla Tunisia e in quantità sempre costante. L’unica differenza è che è aumentata la frequenza degli sbarchi e le punte sono più numerose, circa 50 persone si ogni barca». Fino allo scorso 13 aprile, quando i primi 191 immigrati, originari dell’Africa sub sahariana, da Tripoli sono arrivati a Pantelleria. Il peschereccio sul quale viaggiavano si é incagliato sugli scogli di contrada Arenella e durante lo sbarco sono morte due donne. Si pensava a un evento eccezionale, dato che l’isola non è sulla rotta per chi proviene dalla Libia, invece lo scorso 17 giugno sono arrivati altri 164 migranti dalle coste libiche.

Pantelleria, però, non é attrezzata per ospitare grandi numeri di persone. Esiste una sola struttura, una vecchia caserma, che può accoglierne una quarantina. In genere gli immigrati rimangono il tempo necessario per imbarcarsi sul primo traghetto per Trapani, dove c’é il Centro di identificazione ed espulsione. Con gli sbarchi più consistenti degli ultimi tempi, però, e il conseguente sovraffollamento del Cie trapanese, il trasferimento non é più immediato e la struttura d’accoglienza pantesca sta letteralmente esplodendo. Manca inoltre il personale ed é stato lanciato un appello per trovare volontari disposti a dare una mano alla caserma. «I panteschi, e con loro anche molti panteschi d’adozione – spiega Dominica Ferrandes, volontaria e collaboratrice dell’ufficio servizi sociali del Comune – si sono mobilitati in una maniera inaspettata. Molte persone hanno contribuito in queste settimane a rendere la permanenza gradevole ai profughi. Uno dei risultati è che un bel gruppo di loro tornerà sull’isola per stabilirsi qui».

Il primo sbarco di migranti a Pantelleria è datato 13 aprile (Goldmound100 – Flickr)
Nonostante le campagne terroristiche sul fenomeno «immigrazione clandestina» (ricordiamo che  dal mare arrivano appena il 10% dei migranti), quello che davvero preoccupa in questo momento non è dunque chi fugge da guerre o povertà. Del resto i legami con l’Africa sono millenari e Pantelleria é da sempre un luogo di incontri tra popoli e culture. Il problema principale per tutti, sull’isola, é il turismo, prima fonte di reddito. Quest’anno, oltre alla crisi, si aggiunge infatti la paura per la guerra libica. Una delle sette basi che l’Italia ha messo a disposizione é proprio Pantelleria, insieme a Sigonella, Amendola, Gioia del Colle, Aviano, Trapani e Decimomannu. A nord ovest dell’isola, c’è una base dell’Aeronautica Militare che utilizza uno storico hangar ricavato nella roccia da Pier Luigi Nervi e sopravvissuto alla seconda guerra mondiale. La base viene utilizzata principalmente per il suo sistema radar che controlla questo tratto di Mediterraneo. «È già un dato di fatto – sottolinea Dominica Ferrandes –  che la crisi libica abbia contribuito a diminuire fortemente le prenotazioni dei turisti: lo si é visto per Pasqua. Finché non si calma del tutto la situazione, molte persone che potrebbero visitare l’isola per la prima volta, sceglieranno altre mete, cosa comprensibile a livello psicologico, anche se immotivata da quello pratico. Ma nel turismo è l’immaginazione a decidere».

C’è poi un’altra grande questione aperta che, ancora una volta, vede la Libia di mezzo: la corsa all’oro nero nel Canale di Sicilia (clicca qui per visualizzare le concessioni vicino Pantelleria). Complice la crisi libica e la paura di un blackout energetico, le principali compagnie petrolifere internazionali stanno accelerando le domande per sondare un terreno che sembra ricchissimo: i fondali del Mar Mediterraneo. Attualmente sono 12 i permessi di ricerca già rilasciati (25 le domande non ancora evase): due nei fondali di Pantelleria, sei che coinvolgono le isole Egadi, due di fronte a Gela e altri due vicino a Porto Palo di Capo Passero, nel Canale di Malta. «La situazione per Pantelleria non è delle migliori» spiega Mario Di Giovanna, fondatore del comitato Stoppa la piattaforma. «L’Audax ha dichiarato che a breve proverà a trivellare nuovamente in acque tunisine (13 miglia da Pantelleria) e in ogni caso è titolare di un permesso di ricerca, in acque italiane, che arriva a poche miglia dall’isola. Anche La Northen Petroleum ha un permesso di ricerca molto vicino alle coste pantesche». E ha già reso noto che comincerà a trivellare a fine 2011.

L’isola ha una circonferenza di 50 chilometri, lunga 14 chilometri e larga nove (Roncaglia – Flickr)

Le altre compagnie coinvolte sono l’americana Hunt Oil, che ha presentato richiesta per sondare i fondali intorno all’isola sommersa di Ferninandea (peraltro bocca di un vulcano attivo), e la Transunion Petroleum Italia, interessata alle zone di Malta. Nonostante il decreto Prestigiacomo dello scorso anno, che che vieta qualsiasi attività a meno di 12 miglia da un’area protetta e a meno di 5 miglia da qualsiasi costa, i lavori procedono: non é chiaro, inoltre, se gli effetti del decreto siano retroattivi ai permessi concessi prima del 2010. Eppure, almeno apparentemente, quello del petrolio non é affatto un business redditizio per il nostro Paese: come denuncia Stoppa la piattaforma, le royalty per le Regioni e i Comuni sono di appena il 4%, una miseria se confrontate con quelle di altri Paesi (85% di Libia, 80% di Norvegia e Russia, 60% di Alaska, 50% di Canada).

Alle trivellazioni i panteschi non vogliono nemmeno pensare: nei fondali incontaminati di questa zona del Mediterraneo nuotano specie rarissime e la biodiversità del delicato e complesso ecosistema non può essere toccato. Per non parlare dei possibili danni di trivellazioni sulle pendici di vulcani (come Ferdinandea), lungo le faglie sismiche e i banchi corallini che si trovano nel Canale di Sicilia. Perché, allora, non intervengono il Governo e il Ministero? Una domanda retorica per Pantelleria, più vicina all’Africa che alla Sicilia anche perché spesso in fondo all’agenda del Governo. Eppure una via d’uscita ci sarebbe: il Mediterranean Action Plan (il programma dell’organizzazione delle Nazioni unite per la tutela dell’ambiente) prevede la creazione di Aree marine protette, tra le quali potrebbe rientrare anche il Canale di Sicilia. In questo modo tutti i fondali diventerebbero intoccabili. Peccato che l’Italia non abbia ancora sottoscritto la creazione di questa zona: era prevista per il 2012, ma é stata spostata «in data da destinarsi».

Scogliera di Pantelleria (Roncaglia – Flickr)

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