Berlusconi sbatte il pugno e grida: «Vergogna»

Berlusconi sbatte il pugno e grida: «Vergogna»

Finisce con Silvio Berlusconi che sbatte un pugno sul tavolo, grida “vergogna”.E dicono che annuisca quando gli riferiscono del conflitto all’interno della Lega tra Bossi e Maroni. Finisce con Valentina Aprea, sottosegretario all’Istruzione, che riprende immediatamente la parola d’ordine e la rilancia, urlando, a un imperturbabile Fini che lascia il Transatlantico per salire ai suoi uffici: «Vergogna, questi del Fli che una volta erano garantisti e che adesso votano per la galera!» La voce rotta dall’emozione, quasi a un passo dal pianto, l’Aprea mette in fila i dolori, uno dopo l’altro, senza negarsi nulla: «La Lega ha votato compatta per l’arresto, incredibile, e così Casini e i suoi. E il Pd non ha avuto cedimenti. Pazzesco!» 319 i voti favorevoli, 293 i contrari all’arresto.

È appena terminato un giorno da cani, sfilano da destra facce incredule, lasciano l’Aula, dopo che un numero consistente di deputati, più di quel che si credeva, più di quel che le trattative avrebbero lasciato supporre, ha votato per l’arresto per il deputato Papa. E dall’altra parte, al Senato, il contro ribaltone: la destra salva la sinistra, che si era dichiarata per l’arresto, ed evita la galera a Tedesco.

Finisce che Giorgio Stracquadanio accusa i suoi, grida che «ci sono dei senza palle nel nostro schieramento, gente che si fa dirigere da Feltri e Belpietro, da Libero e Giornale, complimenti!». È un fiume in piena, più che accusare lega e sinistra, si scaglia come una furia contro i suoi: «Non hanno capito un c…, non hanno capito che arrestano Papa per arrestare Papi. Sono sicuro che un certo numero di parlamentari del Pdl ha votato per l’arresto!».

Eppure di buon mattino, erano appena le otto, nelle chiacchiere per addetti, Alfonso Papa sembrava già bello che salvo. Con otto ore di anticipo sulla tabella parlamentare – si è votato intorno alle sei e mezza della sera – il capo gabinetto del ministro Romano si gusta il suo secondo caffè della giornata a Piazza in Lucina, superluogo di tutte le lobby del creato politico. Qui emette la sua assoluzione preventiva: «Voto segreto, la galera non conviene a nessuno. Anche una parte del Pd, nel segreto dell’urna farà mancare i voti all’arresto».

I forconesi, intanto, quel fiume sempre più possente di umani non saziabili se non da teste che rotolano con una certa assiduità, sono seduti sulla riva del fiume e aspettano. Forconi per il momento inattivi, ma pronti. Alla sera festeggeranno, le monetine serviranno a comprare Crodini.

Nei corridoi di Montecitorio si confrontano due anime destre solo apparentemente in contrasto, esangui, disperate e illogiche. L’anima pidiellina più lucida porta a concludere che la legislatura ormai è fritta e Roberto Tortoli, già coordinatore toscano di Forza Italia, ne è il traduttore più fedele: «Il capo (Berlusconi) non c’è più, lo si vede da come si muove e da come Napolitano lo ha commissariato. Ma oggi, qui, dobbiamo votare contro l’arresto di Papa, non possiamo farci travolgere dalle procure».

Mario Landolfi, se possibile, è ancora più chiaro, introducendo la variabile forconi. «Meglio stare sotto il forcone dei cittadini o sotto il forcone delle procure? Finchè non si dimostrerà in maniera inequivocabile che là fuori, nelle piazze, nelle strade, il popolo vuole la nostra testa, noi preferiamo difenderci dalle procure rinchiudendoci nel Palazzo». Chiaro, molto chiaro. 

Intanto, la mattina che ha l’oro in bocca porta il suo bell’indagato di sinistra al pubblico ludibrio, il Filippo Penati da Monza, un avviso al sapor di orologeria per fatti lontanissimi che cade in un pomeriggio di un giorno da cani. Messaggio a nuora perché suocera intenda? Sta di fatto che la sinistra si guarda un po’ allibita, senza capire, senza sapere, soprattutto.

Ma le ore scorrono lente, si giocano due partite in contemporanea, una alla Camera e una Senato, dove la seduta è incentrata sulla richiesta d’arresto per il pd Tedesco, il quale si alza chiede esplicitamente che l’assise si pronunci per la (sua) galera. Sembra di stare alle ultime di campionato, quando le partite decisive per la retrocessione hanno l’obbligo di partire alla stessa ora per evitare magheggi.

Qui si narra e si maligna di magheggi sopraffini, che spiegati ai bambini di quinta significherebbe ciò: scambio di amorosi sensi tra Pdl e Pd che porterebbero a evitare l’arresto sia di Papa che di Tedesco. Ma l’anima più inquieta del centro-sinistra vuole buttare a mare la conservazione, ponendosi la seguente domanda: visto che ci siamo già dichiarati pubblicamente per l’arresto di Tedesco, che cosa ci guadagneremmo da questo accordo? Solo fango e insulti dei cittadini.

Fiuta il pericolo, la destra: sarà un brutto domani – pensano i dirigenti del Pdl – se noi avremo salvato il nostro Papa dalla galera e loro avranno mandato al rogo Tedesco in nome dell’etica, dei principi, della pulizia morale. La soluzione è nota e solo una: si chieda il voto segreto e saremo noi a “salvare” anche Tedesco.

Nel mezzo c’è la Lega e il leghismo duro di un tempo. Inquieta, solo apparentemente decisa a mostrare il suo pollice verso per il deputato sotto accusa, si pone l’unico problema del suo tempo: quando fare cadere Berlusconi. «Vero – dice il ministro degli Interni, Maroni – è una questione di scelta di tempo. E non è facile capire il momento. Adesso c’è troppa confusione, anche il Pd che vuole mandare al rogo il suo Tedesco non può pensare di capitalizzare questo atteggiamento. Ormai Forcolandia è in atto e non si salverà nessuno».

Nella parte del guastatore, spunta in Transatlantico anche Di Pietro che per un mezzo pomeriggio torna alle vecchie care cose: galera, manette, pane e acqua. Avrebbe scovato un sistema, dice ai giornalisti che lo circondano, per identificare chi voterà no all’arresto di Papa. Mostra il suo telefonino come fosse l’accrocco che i deputati devono schiacciare per votare e con un rapido gioco di dita degno di Silvan mostra che movimento dovrebbe fare il fedifrago per salvare l’uomo sotto accusa.

Sono passate le sei quando prende la parola lui, il deputato che dividerà in buoni e cattivi a seconda delle umane inclinazioni. Papa parla, non vuole dare indicazioni di voto, lambisce gli affetti familiari, i figli, ai quali ha dovuto spiegare il perché di un’atroce possibilità, che lui non torni più a casa per il week-end. Il suo intervento è breve, il tempo di rimettersi alle decisioni dell’Aula. Non c’è più molto tempo, seguono parole di Casini, Franceschini, Cicchitto e altri minori.  

Poi la sentenza. E anche un penoso accenno di rissa tra Udc e Responsabili. Al prossimo pomeriggio di un giorno da cani.