Ma il Pd è così sicuro che il dopo Berlusconi sia suo?

Ma il Pd è così sicuro che il dopo Berlusconi sia suo?

Qui si ha la modesta ambizione di rivolgersi a tutti quelli che hanno anche la più pallida intenzione di votare centro-sinistra nel 2013 (o prima, se del caso). Che cos’hanno attualmente in mano, questi (potenziali) elettori? Per il momento quasi nulla, solo una dichiarazione di intenti del loro segretario che non identifica la seppur minima alleanza, ma che traccia indistintamente una linea di confine tra il berlusconismo e qualcosa che ancora non c’è ma che potrebbe comprendere “tutti quelli che ci stanno”. Così dice Bersani, così ieri ha ribadito D’Alema. Il sospetto è che i due la pensino alla stessa maniera, e non è una bella cosa soprattutto per Bersani.

Questo non-progetto del Partito Democratico vive dunque, ancora e sempre, sull’anti-berlusconismo, questa volta un anti-berlusconismo meno di sinistra e più di maniera, ancorché allargato al centro di Casini e affini. Al di là di storiche emergenze nazionali, è forse la prima volta che in tempo di “pace” la sinistra non sceglie con chi stare, non preferisce, non traccia una sua personalissima via, insomma si lascia trascinare dagli eventi, sperando che accadano. Questo atteggiamento è una dimostrazione di forza e di personalità o, al contrario, identifica una debolezza strutturale?

L’idea di lanciare un appello a tutte le forze responsabili, che comunque si riconoscano nella non più eludibile cacciata del premier, farebbe presumere che mai come in questo momento il Cavaliere è sulla cresta dell’onda, che nei sondaggi stravince (ieri Scajola facendolo molto innervosire ha rivelato che è al 28%), che passano tutte le leggi che si confeziona per sé, insomma che è un pericolo di una tale portata che serve davvero una spallata al limite dell’emergenza. Invece, i rilevatori politici ci indicano che proprio in questo momento l’uomo è più solo che mai, staccato dal mondo e dai problemi. Pensate solo al suo silenzio di ieri, e valutate se uno così ha in mano il governo di sé e del Paese.

Se va in porto, ma ne dubitiamo, il non-progetto del Pd – cioè un gigantesco agglomerato senz’arte né parte contro Berlusconi – potrebbe crearsi la paradossale situazione per cui un esercito pronto alla battaglia estrema e definitiva, si ritrova – alla fine – senza il nemico che avrebbe dovuto abbattere. Nel senso che magari il Cavaliere si è sfarinato prima, ha perso l’appeal del Paese, si è logorato (lo hanno logorato) a tal punto che la sua incidenza nei processi produttivi è vicina allo zero. E magari, chissà, è stato anche sostituito in corsa. Partita in tragedia, la storia si trasformerebbe in farsa.

Questo scenario sarebbe una vera tragedia per il Partito Democratico, che avrebbe speso molto del suo tempo e delle sue energie in favore di una causa che è andata invece a consunzione naturale. Con il risultato che in quel momento si ritroverebbe senza progetto politico e senza “veri” alleati, dal momento che – finito il Cavaliere – tutti tornerebbero ai loro luoghi (politici) naturali: Casini a fare il democristo, Di Pietro il giustizialista, Vendola il narratore della rivoluzione. La morale di sempre, i piccoli godono e il partito più importante e rappresentativo ci rimette.

C’è un elemento antropologico in più che si staglia all’orizzonte con una certa nitidezza e che è legato a doppio filo alla caduta finale di Berlusconi (prima o poi accadrà), ed è l’idea che a raccoglierne le spoglie e a godere della sua liberazione saranno ancora quelle figurine di un tempo, ormai ingiallite, che rispondono ai nomi di D’Alema, Melandri, Veltroni (che prova a smarcarsi), Bersani, Bindi, Franceschini, Letta (questi ultimi due, i giovani vecchi), Marini, Castagnetti e aiutateci voi a completare la lista infinita. Questi signori si illudono ancora di contare, di determinare i processi, di governarne le conseguenze, mentre invece non si rendono conto d’essere marginali nelle nuove dinamiche che hanno portato alla rivoluzione del consenso. Che ormai passa da internet, si raduna nella Rete e poi esplode al referendum, o si affida a persone che incarnano un sogno, e mettere vicino De Magistris a Obama sarà anche un peccato mortale ma la radice è proprio quella.

Il centro-sinistra non può fare la fine del tordo. Mal di pancia neppure tanto sotterranei cominciano a farsi largo, e l’attivismo di Veltroni sulla nuova legge elettorale è un segnale chiaro. Ma è soprattutto sulle alleanze, sul progetto politico futuro e a largo raggio, che Bersani (se sarà Bersani) deve fare scelte precise. Prima, molto prima che Berlusconi cada. Scelte che escludono e per questo dolorose, ma la politica è fatta di scelte. Chi aspetta e non decide è destinato a essere marginale. Stare con Vendola o stare con Casini non è proprio la stessa cosa, e i cittadini vogliono sapere prima da chi saranno governati. Sempre che non sia già troppo tardi. 

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