«Ma no, guardi, sono a Viareggio in famiglia, io mi occupo generalmente di temi socio-economici, è meglio se di questo ne parla con Andrea Romano, il direttore di Italia Futura». Irene Tinagli, docente alla Carlo III di Madrid, si dibatte tra la delicatezza del passo indietro e la passione di chi intende mettere in chiaro alcuni aspetti della nostra politica. Tra le due, alla fine vince la seconda, ed eccoci qui a parlare di Montezemolo, del nuovo partito, dei vecchi partiti. E dei giovani, che le stanno particolarmente a cuore.
Professoressa, lei è nel comitato direttivo dell’associazione Italia futura, sentiva proprio la necessità di un altro partito, il partito di Montezemolo?
«Senta, qui stiamo parlando di milioni e milioni di orfani politici, di persone, di cittadini che non hanno più alcun riferimento politico. Una politica che fa una fatica terribile a rinnovarsi, che non ha più facce spendibili, idee, proposte. C’è una domanda forte di cambiamento da parte della società, questi signori se ne rendono conto? Mi pare proprio di no. E quindi chi si deve prendere in carico tutto questo?»
Quali sono i sintomi del disgregamento della politica?
«C’è un eccesso di incompetenza che è del tutto evidente, c’è gente al governo che non ha la più pallida idea di cosa stia facendo, che raffazzona proposte, le butta lì sull’onda emozionale, senza costrutto, senza una minima prospettiva, giusto per sopravvivere. Il palazzo non si sta rendendo conto di quello che succede fuori».
Non si rende conto o si sta rendendo conto benissimo, e si sostiene con l’istinto di conservazione?
«Generalmente sono una persona positiva, ma in questo caso anch’io mi faccio la domanda che si stanno facendo tutti: ma questi signori sono in malafede? Sono davvero molto perplessa…».
Veramente, professoressa, qualche settimana fa, all’epoca delle votazioni per l’arresto di Papa e Tedesco, il ministro Maroni ha definito quel clima che lei ha descritto con una parola precisa: Forcolandia.
Tinagli al telefono ride. Sembra ridere per non piangere (di Maroni). Poi argomenta: «Da un lato, posso anch’io notare degli eccessi, e per eccessi intendo quell’idea di risolvere i problemi “solo” per via giudiziaria. Ma il ministro Maroni dovrebbe veramente rendersi conto che senza una certa autoreferenzialità della politica, quel modo di chiudersi a riccio di fronte alle situazioni più spinose, quella Forcolandia di cui parla non sarebbe mai venuta fuori».
Bene, prof., allora cominciamo con i cambiamenti: da dove partiamo?
«Partiamo dai percorsi professionali dei soggetti politici, dei possibili candidati, guardiamo a ciò che ognuno ha fatto nella vita. Ma lei sa benissimo che c’è gente che è in Parlamento da trent’anni! Ma sa cosa sono trent’anni e quanto cambia l’economia, i problemi delle famiglie e tanto altro in trent’anni? Trent’anni sono un’eternità».
Lei è discretamente impietosa. Sappia che gli uomini di potere di una certa età tenderanno sempre all’istinto di conservazione.
«E come se non lo so! E lo capisco anche, alle volte non lo fanno neanche per vera e propria cattiveria. Ma quando uno si abitua per una vita all’auto blu, ai privilegi, a prendersi tutto quello che vuole e desidera, come vuole che immagini il futuro?»
Margini, anche minimi, di cambiamento?
«Le regole sono fondamentali, segnano il percorso della vita istituzionale di un Paese. Ma se a un certo punto della Storia la classe politica non risponde più di quello che fa, e questa classe politica è in questa fase, allora siamo probabilmente a un punto di non ritorno. Oggi, in politica, vale molto di più la fedeltà alle persone, che la capacità di risolvere i problemi. Oggi l’obiettivo del carrozzone è: farsi rieleggere».
Davvero un bel viatico per i giovani.
«Ma cosa vuole che ne sappia uno come Sacconi dei giovani! È lì da trent’anni anche lui, che dinamiche vuole che intercetti sulle politiche giovanili da ministro del lavoro?».
Bene, sul governo abbiamo dato. Ora non mi dirà che l’opposizione è rose e fiori?
«Infatti, non glielo dico. Anzi, rispetto all’epoca Veltroni a cui aderii da esterna per poi uscirne, vedo con tristezza un grande peggioramento. Allora almeno c’era una sincera apertura sulla società, l’obiettivo era quello di allargare il raggio d’azione, oggi la segreteria Bersani si connota per un ritorno al passato, con logiche politiche di vecchio stampo».
Tipo?
«Beh, se tira di più oggi magari si fa l’occhiolino al sindacato, domani andiamo con questo, dopodomani con quest’altro. Si zittiscono le personalità più riformiste all’interno del partito, penso a Pietro Ichino o a Ignazio Marino, addirittura si gioca di retroguardia sui referendum. Pensi che persino l’Ulivo aveva posizione più liberali!».
Insomma, professoressa Tinagli, lei parlando male di governo e opposizione mi ha portato in bocca alla balena: il partito di Montezemolo. Perché dovrebbe attrarre qualcuno, è un partito senza storia politica, come fu Forza Italia?
«E forse è proprio questa la novità, non essere legato alla storia che spesso si è rivelata una zavorra per il cambiamento. Per andare dietro alla storia, alle ideologie, oggi è tornata di moda l’esasperazione politica, l’idea dello scontro. Sento parlare di nuovo di capitalismo opposto a un’altra visione della vita, persino la lotta di classe è tornata in auge. Che tristezza!»
E i partiti di mezzo?
«Ma li vede Fini, Casini e gli altri, li vede come sono pesanti? Vengono da storie lontane e non hanno più freschezza. Anche la Lega comincia ad avere una storia pesante, soprattutto da quando ha appoggiato cose in cui non credeva».
Mettiamola così su Montezemolo: in Europa ormai si cerca un quarantenne, e lui, portandoli anche bene, va per i 64. No buono, professoressa.
«Mi dispiace per lei, ma Napolitano ha sparigliato tutti i giochi: è una luce per il Paese e ha solo 80 anni!»