“Clausole di salvaguardia del contratto”. Con questo eufemismo Alberto Rubegni, amministratore delegato di Impregilo, ha fatto riferimento alla possibilità che lo Stato paghi la “grande opera” anche se il Ponte sullo Stretto non verrà realizzato. Ma cosa prevede l’accordo sottoscritto? A quanto ammonterebbe la penale? Guido Signorino, economista dell’Università di Messina, ci spiega: “Sarebbe il 10% valore del lavoro non eseguito, che si può calcolare in circa 400 milioni”. Impregilo potrebbe farsi riconoscere i costi sostenuti fino adesso, come quelli di progettazione. E gli utili non conseguiti. Il Ponte che non si fa, tra spese sostenute e penali, rischierebbe così di sfiorare il miliardo di euro. Tra quattrocento e cinquecento già spesi dal 1981 e altrettanti di penale. Ogni giorno l’iter va avanti: crescono i diritti delle aziende e diminuiscono quelli dello Stato.
«Alla vigilia delle elezioni del 2006, prima della firma del contratto, Ciucci dichiarò che nessuna penale era dovuta prima dell’avvio dei lavori», prosegue Signorino. Nel frattempo, dai 4,6 miliardi di euro del progetto preliminare si è passati agli 8,5 del progetto definitivo. Da Impregilo ci fanno sapere che non possono fornirci particolari, “a causa degli obblighi contrattuali”. Occorre rivolgersi al committente, Stretto di Messina, secondo cui «dovrà essere riconosciuto il pagamento delle prestazioni rese e delle spese sino a quel momento sostenute, oltre a un indennizzo nella misura ridotta del 5% dell’importo residuo del contratto, fino ad un massimo dei 4/5. Va sottolineato che la misura usuale dell’indennizzo in caso di recesso dal contratto è del 10% sui 4/5 del valore contrattuale».
Impregilo continua a esprimere fiducia sull’approvazione finale da parte del Cipe, che a dicembre dovrà dire l’ultima parola sul progetto. Nel frattempo i segnali da governo e Unione Europea non sono incoraggianti e già da aprile Eurolink – il consorzio che ha vinto l’appalto – ha messo in mobilità quindici dipendenti, comprese alcune figure impegnate nel cantiere di Cannitello, il primo avviato nel dicembre del 2009 e ancora non completato. «Si tratta di un’opera propedeutico-funzionale al Ponte», spiega l’ufficio stampa di Impregilo. Di conseguenza potrebbe essere considerato un cantiere del Ponte e far scattare la penale. «Dal punto di vista logico non puoi fare un’opera preliminare prima dell’approvazione del progetto definitivo», ribatte Signorino. Potrebbe essere l’elemento decisivo in sede di contenzioso.
Il cronoprogramma. I lavori in Calabria sono iniziati già nel 2009, la data di chiusura (giugno 2011) è slittata a dicembre, quando lo spostamento di un binario lungo un chilometro “festeggerà” i due anni e una spesa di ventisei milioni di euro. «Come spesso accade da quelle parti, l’area era una vera e propria discarica. Abbiamo impiegato molto tempo per la bonifica del materiale edilizio abusivamente interrato», ci dicono dalla società milanese.
Le procedure formali, invece, proseguono spedite come mai prima, proprio mentre in tutta Italia prevale l’idea che tutto sia fermo. “Tanto non lo faranno mai”, si sente dire. Nel frattempo è stato approvato il progetto definitivo e la procedura per gli espropri ha suscitato le prime polemiche. Gli atti – comprese le particelle catastali e i nominativi dei cittadini coinvolti – sono stati immediatamente resi pubblici su Internet. Il sindaco di Messina ha scoperto che per le opere compensative richieste (strade, svincoli, la copertura di un torrente, persino il “ripascimento dei litorali”) non ci sono soldi. Il Cipe ha deciso la riduzione al 2% del valore dell’opera. «Abbiamo appreso che l’unica opera che sarebbe finanziata è la metropolitana del mare», protesta il Pd messinese. Cioè un sistema di trasporto direttamente concorrente del Ponte.
Il primo cittadino di Villa San Giovanni si è sentito scavalcato (“un gravissimo deficit di delicatezza”) e ha gridato al “neocolonialismo”. I suoi concittadini si sono recati in un albergo, scelto come sede temporanea, per spulciare tra gli elaborati espropriativi e verificare se la propria abitazione sarà demolita. Per evitare rallentamenti, la “Stretto di Messina” aveva sottoscritto un accordo con gli enti locali e le associazioni di categoria in modo da definire modalità ed entità dei rimborsi. È stata scelta una formula molto ampia per cui sarà risarcito anche chi perderà “il panorama” dalla finestra della propria abitazione.
A Villa San Giovanni 586 proprietari, più un centinaio della vicina Campo Calabro, sono coinvolti nelle procedure. Sul versante calabrese, le procedure di esproprio riguardano sia i terreni nella punta estrema dello stivale, sia un territorio 30 chilometri più a nord, tra Aspromonte e Piana di Gioia Tauro. Qui è prevista la mega-discarica di Melicuccà. Nel 1985 un’automobile imbottita di esplosivo viene parcheggiata accanto alla vettura blindata del boss Imerti, che si salva miracolosamente e può organizzare la vendetta.
Due giorni dopo il boss di Reggio, De Stefano, rimane sull’asfalto nel quartiere Archi. Inizierà una guerra da mille morti. Il libro di Antinio Nicaso e Nicola Gratteri, “Fratelli di sangue”, spiega che i De Stefano volevano mettere le mani sui terreni di Villa in vista degli espropri. La convenzione fra Anas e Fs aveva lasciato intendere che i lavori sarebbero iniziati a breve. Quasi sempre si ricorre all’idea dell’“infiltrazione” per indicare la presenza mafiosa negli appalti e nei movimenti di denaro pubblico. Ma qui si tratta di una cosa profondamente diversa, cioè la signoria territoriale che ogni clan esercita sulla propria zona di competenza. “L’uso di parole sempre uguali come infiltrazione è la spia di un linguaggio giornalistico obsoleto, la prova del logorio della comunicazione”, ci dice in proposito Pino Arlacchi, autore dello storico studio “La mafia imprenditrice” che tra le altre cose racconta del dominio delle ‘ndrine in provincia di Reggio.
E ora cosa si sta facendo per evitare che le ‘ndrine esercitino il proprio dominio sul territorio? «C’è un gruppo interforze che si sta occupando di monitorare i titoli di proprietà e le destinazioni d’uso, in particolare i cambiamenti avvenuti di recente», ci spiega Salvatore Lo Balbo, che per la Cgil sta coordinando l’osservatorio “Edilizia e legalità”. «Non si tratta di infiltrazioni, hanno avuto vent’anni di tempo per organizzarsi e organizzare questa speculazione. Ma ora bisogna verificare se lo Stato sta dando soldi alla mafia. Il principio è che il terreno si espropria lo stesso, ma senza dare denaro. Un po’ quello che avviene con i sequestri di beni. Non sono cose complicate. La prefettura e la polizia analizzano il casellario giudiziario come avviene abitualmente per le interdittive». Al di là della questione mafia, quanto costeranno gli espropri? «La cifra lievita continuamente perché la pratica è iniziata molti anni fa, ad oggi non è facile sapere a quanto ammontano e se c’è la copertura finanziaria».
Invece è molto preoccupante quello che avviene per i lavori ordinari. «La cosa più grave è che al momento non ci sono linee guida antimafia per i lavori del Ponte», dice ancora Lo Balbo. «Invece ci sono per l’Expo, il sindacato l’ha richiesto più volte. Può sembrare una battuta, ma al momento si assume che c’è la mafia a Milano, c’è in Abruzzo per i lavori post terremoto, mentre in Sicilia e Calabria no. Cannitello doveva passare per il tavolo di monitoraggio dei flussi di manodopera, formato tra gli altri da sindacati e Prefettura. I lavori stanno finendo e questo non è avvenuto».
Nel frattempo, nel silenzio generale, proseguono gli studi di impatto ambientale, un’altra importante voce di spesa. L’appalto è stato vinto da un raggruppamento temporaneo che vede come mandataria Edf Fenice (filiale italiana del gruppo Electricité de France) e come partecipanti Agriconsulting, Gfk Eurisko, Theolab e la cooperativa calabrese Nautilus. Il “monitore” dovrà “fotografare lo stato dell’arte ambientale” prima, durante e dopo la costruzione dell’opera, in un’area molto più vasta di quella del cantiere.
Tra le attività previste c’è lo studio dell’ecosistema marino, in particolare saranno presi in considerazione i macroinvertebrati bentonici e l’analisi del rumore subacqueo. L’ambiente terrestre non sfuggirà alle rilevazioni, con il monitoraggio dei chirotteri (i pipistrelli) e quello di specie di “particolare valore naturalistico”, ad esempio la lepre italica e il coniglio. Il programma cita spesso le Zps (zone a protezione speciale) che coincidono o sono vicino alle aree dei lavori, ma dimentica le denunce degli ambientalisti sull’assoluta incompatibilità tra megaopera e aree naturalistiche.
Guido Signorino ribadisce che si tratta di un modello sbagliato. E ne propone uno alternativo basato su tre parole in dialetto: stoccu, sciroccu e malanova. Il primo fa riferimento alla produzione di risorse che possono essere locali o esterne e rielaborate in loco (lo stocco è il merluzzo norvegese essiccato). Il vento di scirocco (quello caldo che soffia dall’Africa) sono le risorse naturali e le peculiarità della posizione geografica. La malanova (letteralmente “cattiva notizia”) indica la consapevolezza della fragilità del territorio. A questo argomento sono state dedicate due opere presentate al recente festival di Venezia. Un film collettivo sul terremoto del 1908 (“Scossa”) e un documentario (“Caldo grigio, caldo nero”) sull’alluvione del 2009, quando morirono 37 persone dopo poche ore di pioggia. Una tragedia annunciata, si disse subito dopo. Mai più. Anche in questi giorni la città piange, ma per la mancata colata di cemento prevista dalle “opere compensative” che sembrano sfumate.