NEW YORK – Chiedere perdono per i propri peccati, in confessione, con il proprio pastore, può servire a far cadere accuse per reati minori? Evidentemente sì, o perlomeno questo è ciò che ha pensato Mike Rowland, il capo della polizia di Bay Minette, piccola cittadina al sud dell’Alabama, il quale ha firmato un provvedimento che, a partire dai prossimi giorni, potrebbe consentire al giudice di offrire, al momento della sentenza, la scelta fra il carcere e un periodo di frequentazione obbligatoria della parrocchia. L’opzione, alla quale gli imputati potranno rispondere in assoluta libertà, sarà prevista per quei reati minori che non hanno risvolti criminali, tipo reati legati al consumo di droga o di alcol o piccoli furti. Coloro che sceglieranno l’opzione “Chiesa”, potranno scegliere fra una delle 56 parrocchie che hanno già aderito all’iniziativa, e recarvisi ogni settimana per un anno. Non basterà, certo, andare lì e fingere di pregare mentre, dietro gli occhiali da sole, si schiaccia un pisolino.
Il reo, infatti, dovrà periodicamente sostenere colloqui con il parroco o con il capo della polizia, o suo rappresentante, per consentire che questi attuino una sorta di “test” sul suo stato di “espiazione”. Se il test sarà superato brillantemente, allora il “penitente” vedrà archiviate le accuse contro di lui e tornerà ad essere un uomo (o una donna) libero a tutti gli effetti e senza più obbligo alla preghiera. Il provvedimento, che ovviamente ha destato già curiosità e polemiche, anche al di fuori della piccola comunità di circa ottomila anime (evidentemente non tutte pie), viene difeso a spada tratta dal capo della polizia che ne fa una questione “pratica” ed economica. Innanzitutto i costi di “mantenimento” di un condannato, in carcere, sono troppo elevati per una comunita’ in cui il 23% della popolazione vive al di sotto del limite di poverta’ e dove, dunque, i reati minori sono abbastanza ricorrenti. Non sminuisce, inoltre, Rowland, il fine “pedagogico” del suddetto provvedimento. “Le condanne per reati minori, con periodi di reclusione brevi – dice – sono pressochè inutili dal momento che non sortiscono nessun effetto “benefico”. Un mese al “fresco” per un reato di droga o di alcol non bastano, cioe’, a tenere lontano il soggetto dall’alcol o dalla droga. Un programma a lungo tempo, invece, puo’ effettivamente avere influssi positivi sul soggetto”.
Il provvedimento, tuttavia, sarebbe rimasto abbastanza anonimo, nonostante la sua originalita’, se ad interessarsene, con una lettera ufficiale, in cui si chiede la sospensione immediata del programma “Restore Our Community” entro il quale esso è compreso, non fosse arrivata l’ACLU (American Civil Liberty Union) che evidenzia come esso sia in contrasto con il Primo Emendamento che prevede la libertà di culto. “Spingere” qualcuno a frequentare la parrocchia, a prescindere dalle ragioni piu’ o meno meritevoli, dunque, rappresenterebbe una forzatura che travalicherebbe la separazione netta, sancita dalla Costituzione, fra lo Stato e la Chiesa. L’ACLU nella sua lettera ribadisce la propria approvazione e il supporto verso ogni forma alternativa alla reclusione per reati minori ma, sottolinea, a patto che questa non sia lesiva dei diritti costituzionali. L’intervento dell’Aclu, al momento, ha rallentato l’avvio del programma perchè, naturalmente, si deve determinare se le obiezioni siano reali e, dunque, procedere alla cancellazione del provvedimento. Naturalmente il capo della Polizia, Rowland, si difende dicendo che l’intento non è affatto quello di spingere qualcuno ad “abbracciare la fede” e che la chiesa può essere scelta in massima libertà senza nessuna ingerenza da parte dell’istituzione. Resta il fatto, però, come sottolineato dall’ACLU, che la “destinazione finale” sarebbe una Chiesa dove, naturalmente si pratica la fede e si “richiede” di partecipare a un credo.
Difficile prevedere gli sviluppi della vicenda anche se, solitamente, quando sono coinvolte “istanze” religiose ci si imbatte sempre in un terreno scivoloso perchè nessuno, in definitiva, ha veramente voglia di mettersi contro il famoso Primo Emendamento e il diritto all’assoluta libertà che esso garantisce.
Resta anche il dubbio che la decisione di Rowland non faccia grande pubblicità alla Chiesa che, come alternativa al carcere potrebbe essere intesa come una prigione piuttosto che come una comunita’ attraverso la quale recuperarsi e reintegrarsi. In più, il programma “recupero in chiesa” non garantisce di essere assolti dai propri peccati da colui che, per chi è religioso, è giudice supremo. E, dunque, si rischierebbe di rimanere “peccatori a metà“.