I rubinetti di Greenstream, il gasdotto sottomarino che collega la Libia alla Sicilia, potrebbero essere riaperti già dal prossimo 15 ottobre. L’annuncio dell’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, sembra rispondere agli interrogativi sul futuro dei rapporti fra l’Italia e il Consiglio Nazionale Transitorio del dopo Gheddafi: l’approvvigionamento energetico sull’altra sponda del Mediterraneo è una priorità per il nostro paese, almeno quanto la produzione e la vendita di gas e greggio lo sono per la nuova entità politica che si va a costituire.
Non è un caso che contestualmente alle prime visite ufficiali di Mahmud Jibril, primo ministro del Cnt, siano arrivate anche le dichiarazioni ottimiste del suo delegato per il Petrolio e le Finanze Ali Tarhouni sulla prossima ripresa delle produzioni: fino a 100mila barili al giorno. Allo stato attuale la Libia, che concentra l’80% delle risorse nella parte orientale, avrebbe 60 miliardi di barili di riserva e 1.500 miliardi di metri cubi di gas naturale, con otto bacini di esplorazione tuttora aperti. Le compagnie petrolifere presenti sul territorio con le loro concessioni provengono da ogni parte del mondo. La francesce Total si trova a Tobruk, vicino alla condotta del giacimento Sarir, e tra l’altro l’Eliseo è particolarmente interessato all’esplorazione di nuovi giacimenti di gas per compensare l’eccessiva dipendenza dal nucleare in un’ottica di rinnovamento delle fonti energetiche. Di provenienza europea sono anche la RWE tedesca, la Respol spagnola, la Royal Dutch Shell anglo olandese, la British Petroleum. E l’italiana Eni, compagnia del primo acquirente di greggio libico, seguito da Francia e Cina, e protagonista di forti investimenti anche nel campo dell’estrazione del gas con il Western Libyan Gas Project, in cui rientra anche la condotta sottomarina più lunga del Mediterraneo (8 miliardi di metri cubi annui di portata) che sarà riaperta fra poco più di un mese.
Pochi giorni fa Eni e il Consiglio Nazionale Transitorio hanno firmato un accordo per rafforzare la cooperazione nel paese, che fa seguito ad una dichiarazione di intenti sottoscritta il 31 maggio scorso. L’impegno della compagnia italiana sarà quello di fornire prodotti petroliferi raffinati alla Libia, e assicurare agli impianti locali l’assistenza tecnica necessaria. In compenso il corridoio diretto a Gela riprenderà a funzionare. La gestione delle risorse energetiche è stata da subito uno dei temi all’ordine del giorno per il Consiglio di transizione. Già nella riunione del 19 marzo scorso, a due giorni dall’approvazione della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite per l’intervento in Libia, a Bengasi si discute non solo della destituzione di Gheddafi, ma anche di politica monetaria e dell’istituzione della Libyan Oil Company, una sorta di authority che sovrintenda le attività di produzione e politica dell’energia. La prima compagnia ad essersi fatta avanti per commercializzare il petrolio libico è stata la qatarina Qatar Petroleum, già partner dell’Europa, con Inghilterra e Francia in testa.
E proprio Parigi potrebbe riposizionarsi sul mercato di greggio e gas al fianco della nuova autorità libica, forte della linea interventista seguita sin dall’inizio, a fronte di un’Italia più tiepida e titubante, inizialmente, nei confronti dei “ribelli”. Sarà certamente Total a giocare un ruolo di primo piano, già forte di ottimi rapporti con Gheddafi, e in una posizione strategica nei pressi della condotta del giacimento Sarir, a sud di Brega, nella parte orientale del paese.
E se il ministro degli esteri italiano Frattini dichiara che “non c’è una corsa per chi arriva primo fra Italia e Francia”, di fatto da entrambe le parti c’è la ferma volontà di non allentare la presenza sul territorio. In due giorni Francia e Italia hanno riaperto le rispettive ambasciate a Tripoli. Ma in questo caso, Parigi ha “battuto” Roma per 24 ore.