Senza un destro come Mou, Moratti torna il perdente gauchiste

Senza un destro come Mou, Moratti torna il perdente gauchiste

Dunque, mentre ribolle il mondo qui a Milano siamo già agli otto giorni a Gasperini. È uno spread consistente tra l’economia reale e un’idea dei rapporti (dis)uman-professionali che ormai segna invariabilmente la tormentatissima gestione sportiva di Moratti, Massimo. Anche Gian Marco, per la verità, quanto a conducator adesso non se la passa benissimo, ma un licenziamento ogni sedici anni (Andrea Muccioli da Sanpa) è una media più che accettabile. In fondo, destini avversi (momentanei per G.M., eterni per M.) riuniscono per una volta nel medesimo segno due fratelli davvero molto diversi.

Se gazzette rosa ci raccontano che il novissimo allenatore nerazzurro rischia la ghirba dopo una striminzita partita ma una succulenta sconfitta, dovremmo – noi milanesi ariosi – credere sulla parola ai cronisti scrupolosi di via Solferino. Ma per il bollino blu sui rumors che riguardano la Beneamata è utile rivolgersi sempre là, nella medesima via e nel medesimo palazzo, dove alloggia anche il Corrierone e dove sappiamo, per conoscenza diretta, che s’industria alla bisogna il miglior giornalista sportivo su piazza, certo Fabio Monti che dell’Inter sa sempre tutto, o quasi. E che tutto conosce dei respiri, dei sospiri, degli ansimi nerazzurri di Moratti, Massimo. E Fabio Monti in questo momento, leggetene una cronaca e capirete, è inquieto almeno quanto il suo presidente. Oggi ha iniziato semplicemente così: «O Gasperini cambia l’Inter o Moratti si vedrà costretto a cambiare Gasperini». Come vedete, margini di trattativa, zero.

L’inquietudine, eletta a sistema, del presidente nerazzurro rappresenta splendidamente la vecchia borghesia lombardo-meneghina, quella parte di signori che ancora ricordano una Milano straordinaria, ma che malinconicamente non possono vantarsi d’averne creata una altrettanto bella. Milano, dobbiamo dircelo, si è persa negli anni. Inutile ritornare alla memoria di papà Angelo e di tutto quel cotè sfavillante che girava intorno alla squadra che incantava il mondo giocando (benissimo) il brutto calcio di Helenio Herrera. Pallidissimi ricordi. Oggi, con la minaccia formale di licenziamento per il tecnico nerazzurro, siamo tornati al giorno zero.

Si può introdurre ancora il tema denaro in una vicenda esclusivamente pallonara, o si rischia soltanto d’esser presi per anime belle che non tengono nel minimo conto il contatto con la dura realtà del calcio? La vicenda umana e professionale di Massimo Moratti non può prescindere dal denaro, vuoi per un’inclinazione naturale all’agiatezza sin dal tempo dell’infanzia, vuoi per un’inclinazione politica che si generò in anni più maturi, grazie anche all’incontro con la moglie Milly. Moratti è sinceramente di sinistra, meno clamorosamente di Milly, ma altrettanto intensamente. A Massimo è toccato spendere l’iraddidio e spesso malaccortamente per la sua Inter, ma da sinistra nessuno gli ha mai posto un problema di coscienza. Persino quando sulla sponda milanista il destro Paperone spendeva e non sbagliava, contrappasso davvero troppo crudele per un riformista democratico (poi, per fortuna, Galliani ha commesso le sue gloriose cappelle in nome e per conto del Dottore).

Se è possibile pensarlo e farne addirittura qualche grammo di filosofia, un altro destro sul suo percorso sembrava invece aver salvato a Massimo Moratti vita e reputazione sportiva. Sotto questo cielo, l’arrivo di un Messia scomposto e rabbioso come Josè Mourinho aveva riportato temporaneamente in equilibrio quello spread tra la valanga di soldi spesi e gli obiettivi regolarmente mancati. In quale (vera) grandissima impresa era riuscito l’inimitabile Special? In quella di commissariare il presidente, ipnotizzandone gli istinti più ingenui, congelando la sua attitudine a sbagliare, magari anche per troppa generosità ma più spesso per presunzione o faciloneria. Avveniva magicamente quel che migliaia di casalinghe inquiete, sfibrate da mariti inconsistenti e da montagne di mutande da lavare, sognano da sempre: l’arrivo di un Superbone formato famiglia, che lava, stira, pulisce, fa da mangiare, paga le bollette, accompagna i bambini a scuola, litiga con i vicini, s’incazza nella riunione di condominio. In un solo concetto: ti toglie i problemi, ti solleva da una condizione di sottomissione alla vita, e ti riporta felicemente nel tuo ruolo naturale di Signora.

Era accaduto esattamente questo con Josè Mourinho: Massimo Moratti era tornato Presidente. Semplicemente Presidente.

Ma per un attimo torniamo ai soldi e torniamo all’oggi. Qui si sta per licenziare Gasperini, il Corriere data l’evento intorno ai primi di ottobre se non occorreranno cambiamenti e fatti nuovi. Mettiamo che accada (e nel profondo, siamo sicuri che Moratti se lo auguri, quando un allenatore non gli gira non vede l’ora di levarselo di torno). Se accade costerà un certo gruzzoletto, cacciare Gasp e quei pochi che si era portato. Ma non dimentichiamoci che nel corso dell’estate, Massimo Moratti si era sentito intensamente di sinistra nel momento in cui quell’enormità da spendere per acciuffare Villas Boas (quindici milioni di penale) gli era apparsa come una montagna troppo impervia da scalare. Forse sentiva di non poter sopportare onesti quanto stanchi rigurgiti moralistici, modesti trafiletti ostili di giornali demagoghi, fors’anche uno sguardo malinconico di Milly. Oggi sappiamo che probabilmente avrebbe addirittura risparmiato.

C’è una piccola morale da tirare alla fine di questa nuova, vecchia inquietudine morattiana? La più semplice sarebbe che la sua fortuna l’ha fatta un destro, il grande José, così come il suo tormento, quel satana rossonero del Cavaliere. Pari e patta, dunque. Buttarsi al centro, no? 

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