FIRENZE – Non è un caso che Pier Luigi Bersani abbia voluto festeggiare il quarto compleanno del partito democratico nella capitale del renzismo, Firenze. E non è un caso che da Firenze sia partita la prima di “300 iniziative” democrat per “mandare un segnale al Paese e far vedere che le cose possono cambiare”.
Firenze, ore 21 di un venerdì sera abbastanza ventilato, il popolo democratico di rito dalemian-bersaniano, è utile specificarlo, aspetta con ansia il segretario nazionale Pier Luigi Bersani per festeggiare il quarto compleanno alla Sala Rossa del Palazzo dei Congressi, a due passi dalla Stazione Santa Maria Novella. Arriviamo intorno alle 20:40, e la sala, molto grande, è già piena. Un signore sussurra alla sua lei: «Amore, ma te li immaginavi così tanta gente». La signora: «Ma allora perché si perde?». Passano i minuti e la sala si riempe sempre più. Alle 21non c’è già più un posto dove sedersi.
La macchina dalemian-bersanian-fiorentina ha fatto il suo dovere: le campagne di volantinaggio “al Nuovo Pignone, alla Mercafir, al Quadrifoglio, davanti al Liceo Galileo, gli inviti su facebook e gli sms,” hanno funzionato. Fino a ieri, come segnalava David Allegranti sul Corriere fiorentino, “Paolo Calosi, più dalemiano di D’Alema”, inoltrava sms del tipo: ”Moemoci, tra circa 30 ore, venerdì 14 alle ore 21, arriva Bersani al Palazzo dei Congressi: diamoci da fare per riempirlo!”. Nelle prime file c’è Gianni Cuperlo, uno delle teste pensanti del dalemismo, Vannino Chiti, ex Ministro del Governo Prodi, ed Enrico Rossi, attuale Presidente della Regione Toscana. Insomma un pezzo di nomenklatura democrat.
Assente giustificato il sindaco di Firenze Matteo «Ho una cena di famiglia, mio padre compie 60 anni e non posso mancare. Ma al segretario ho inviato un sms per spiegare il motivo della mia assenza personale ma non politico». Sarà. Alle 21:15 arriva Cecilia Pezza, giovanissima promessa bersaniana, responsabile organizzazione del partito, uno delle artefice della serata democrat, la quale sorridente guarda la sala gremita e dice a Linkiesta: «È chiaro che c’è un Paese che ha voglia di cambiare, è questa è la risposta a Berlusconi». Sull’assenza di Renzi dice: «Inanzitutto facciamo tutti gli auguri al babbo di Matteo Renzi che milita tra le file del Partito democratico. Ci dispiace l’assenza del sindaco ma siamo sicuro che se non ci fosse stato questo impegno sarebbe tra noi», chiosa storcendo il naso.
Il segretario entra in sala intorno alle 21:30, accompagnato dalla canzone di Neffa “cambierà”, che sa molto di veltronismo. Si abbassano le luci, Bersani si accomoda tra il segretario regionale Andrea Manciulli e il segretario metropolitano Patrizio Meccacci, e parte un video che raccoglie dichiarazioni di liberi cittadini in sala. Anche questa trovata sa molto di veltronismo.
Primo ad intervenire, il segretario metropolitano Patrizio Mecacci, cestone di riccioli in testa, e occhialini da intelettuale. Mecacci fa subito infiammare la sala quando saluta i sindaci presenti e dice: «Ne manca uno». Dalla platea partono numerosi fischi. E ancora: «L’Italia non ha bisogno di uomini soli al comando». Ancora applausi.
Poi il microfono passa al segretario regionale Andrea Manciulli: «Senza nessuna polemica, purtroppo il 14 ottobre del 1942 è nato anche il mio di Papi. Perché non pensi che sia un figlio senza cuore. Gli voglio dire: auguri Babbo!». Tutta la sala urla e applude, ma qualcuno non apprezza, e ci sussurra: «È tutto un modo per aumentare la popolarità di Matteo».
Alle 22 sale sul palco Pier Luigi Bersani, e la platea di rito bersaniano rizza le orecchie per ascoltare il segretario. In primis rivendica l’importanza del Pd, «troppo giovane per aver risolto tutti i problemi ma ormai è troppo vecchio per essere un esperimento». Rivendica l’essere “partito”, «le formazioni che c’erano prima del Pd non si chiamavano neanche partito. Siamo l’unico partito ( e i radicali?)». Spiega il significato dell’ennesimo voto di fiducia: «In sostanza i tempi si accorciano, Berlusconi sta in campo e non va a divertirsi (la sala ride), e le opposizioni hanno dimostrato di esserci».
Poi disegna la roadmap del Pd da oggi a dicembre: «Si lavora con la mobilitazione. E si parte il 5 novembre con la manifestazione che si terrà a Roma, ed entro dicembre faremo partire il grande progetto per la ricostruzione che sarà il punto centrale della nostra battaglia». Ma la ricostruzione partirà ad una condizione: il Cav deve andar via, e poi «puntare alla convergeza fra moderati e progressisti». «Adesso lo dicono tutti che deve andar via, giornali, Confindustria. Prima si diceva l’opposizione è impotente, adesso siamo in molti impotenti, una questione sanitaria». E ancora: «Ma cosa ha fatto il Berlusca in quindici anni?». «Ruby, Ruby, Ruby!!!», intonano un gruppo di signori.
Infine, Bersani elenca una serie di titoli del suo manifesto politico: bisogna «uscire dal populismo«, «ci vuole una legge sui partiti che garantisca elegibilità«, «ci vuole una nuova legge elettorale», «via il nome sui simboli dei partiti». E per finire in bellezza la stoccata finale al sindaco di Firenze: «La leadership non è solo un meccanismo comunicativo, non è un meccanismo individuale, una leadership individuale appartiene al passato». Il solito tipo accanto a noi scuote la testa, e noi ripensiamo alla frase che ci ha sussurrato in precedenza: «È tutto un modo per aumentare la popolarità di Matteo».