Bike sharing, Milano e Torino pedalano in Europa

Bike sharing, Milano e Torino pedalano in Europa

Che agli Italiani le biciclette piacciano è un dato certo: nel nostro Paese ce ne sono circa 30 milioni. In numeri assoluti siamo sesti al mondo, dopo Cina (450 milioni), Usa (100), Giappone (75), Germania e India (63). Un conto però è averle, un altro è usarle: quanti italiani utilizzano effettivamente le due ruote per gli spostamenti quotidiani? La risposta arriva da un’altra top ten, decisamente meno gratificante, che riguarda i Paesi a più alta motorizzazione del mondo: qui l’Italia si classifica quinta, vantando – per modo di dire – una media di 600 autovetture ogni 1000 abitanti

Come spiegare questi dati così discordanti? Forse, quello che manca nel nostro Paese è una gestione della mobilità urbana che miri a contenere l’utilizzo dell’auto privata in favore di forme di trasporto diverso, come il servizio pubblico collettivo, il car sharing e il bike sharing. La situazione, come rilevava a settembre 2010 un rapporto realizzato da Legambiente, non è delle migliori: negli ultimi anni il trasporto pubblico non è stato utilizzato quanto avrebbe potuto, le isole pedonali non sono aumentate e le zone a traffico limitato si sono addirittura rimpicciolite.

Un quadro desolante che presenta però un’eccezione: il bike sharing. Il servizio di condivisione pubblica delle biciclette, seppur a piccoli passi, sta continuando infatti a crescere. Abbiamo provato a fotografare la realtà di questo fenomeno, che attualmente raggiunge 150 comuni, per un totale di quasi 7000 bici che viaggiano per le vie delle nostre città. All’incirca la metà dei 117 capoluoghi di provincia hanno già avviato il servizio, che però si estende anche a realtà più piccole. Un esempio su tutti quello di Savigliano, cittadina in provincia di Cuneo, che può vantare il rapporto più alto tra biciclette a disposizione e residenti: sono 26 ogni 10.000 abitanti.

Il bike sharing in Italia è gestito principalmente da due società: Bicincittà, di proprietà dell’azienda torinese Comunicare Srl, che fornisce il servizio a 61 comuni e C’entro in bici, fondata nel 2000 da Fulvio Tura, che ne serve 95. La prima utilizza il sistema elettronico, detto di seconda generazione, dove il prelievo avviene tramite una tessera su cui sono registrati i dati dell’utente; la seconda si serve invece del sistema meccanico, o di prima generazione, in cui la bicicletta viene sbloccata tramite una chiave. Tra le eccezioni c’è Milano, che nel 2008 ha affidato la realizzazione di BikeMi alla multinazionale americana della pubblicità Clear Channel, nota per aver servito Stoccolma, Barcellona e Rennes. L’azienda si è occupata di fornire il servizio di bike sharing e di avviarlo, ottenendo in cambio la gestione di centinaia di spazi pubblicitari sparsi per la città: per capirci, è lo stesso metodo usato da Parigi e Londra.

«In Italia i fiori all’occhiello per la mobilità alternativa sono Milano, Torino e Brescia», spiega Lorenzo Bertuccio, direttore scientifico di Euromobility, associazione che si occupa di mobility management e sostenibilità. Il capoluogo lombardo vanta la rete più sviluppata, con circa 2000 biciclette disponibili (ma si conta di arrivare presto a 3600) e 120 stazioni (qui l’obiettivo è quota 201). Il servizio ha attecchito in città fin dalla sua inaugurazione nel dicembre 2008, e nel 2010 contava già 13.000 utenti attivi. “Per il nostro bike sharing ci siamo ispirati alle grandi realtà del Nord Europa”, afferma Pierfrancesco Maran, assessore alla mobilità del Comune di Milano. “A Copenhagen, per esempio, il 75% delle persone utilizza la bicicletta per gli spostamenti. Sappiamo che questa soglia non è facilmente raggiungibile, ma cerchiamo di pensare in grande». Milano si piazza al terzo posto tra i capoluoghi di provincia per rapporto tra biciclette disponibili e abitanti, con 14,9 mezzi ogni 10.000 abitanti, dietro soltanto a Brescia (20,9) e Lodi (19).

Al quarto posto c’è Torino dove l’esperimento, benché partito solo nel 2010, sta ottenendo buoni risultati. Al momento, a poco più di un anno dalla partenza di [To]Bike, sono 60 le stazioni attive, 600 le bici in circolazione, 11.000 gli abbonati al servizio e 3.050 i prelievi medi giornalieri. Entro l’anno è prevista un’implementazione che porterà alla realizzazione di altre 56 postazioni e all’introduzione di altri 600 mezzi, per arrivare così a quota 1200. A Torino l’introduzione del bike sharing è stata un passo importante per incentivare un sistema di mobilità sostenibile in grado di ridurre il livello di polveri sottili nell’aria: la città rientra infatti tra quelle in cui il valore medio annuo supera il limite per la protezione della salute umana, ovvero 40 microgrammi/mc.

Ma il bike sharing non ha attecchito ovunque. A Napoli e Firenze, per esempio, non c’è ancora. A Roma, invece, il sistema ha mostrato serie difficoltà: nella capitale l’esordio del servizio risale a giugno 2008, sotto la gestione della multinazionale spagnola Cemusa, che fornisce alla città 200 biciclette ripartite tra 19 stazioni. «Un esordio decisamente troppo timido» sostiene Bertuccio, «se si pensa che Brescia ha messo in campo 150 bici per una popolazione dieci volte inferiore a quella della Capitale». Dopo poco meno di un anno Cemusa alza già bandiera bianca: problemi di tipo economico portano infatti all’interruzione del servizio. Ecco allora la seconda gestione: le bici da rosse si tingono di verde e il servizio passa nelle mani di Atac, la società concessionaria del trasporto pubblico cittadino. I ciclo-posteggi diventano 27 mentre le biciclette scendono a 150. Quando da una costola di Atac nasce l’Agenzia Roma Servizi per la Mobilità, la gestione passa in toto alla neonata realtà e il numero di bici risale fino a quota 363. Anche questa gestione però non risulta adeguata. Un’indagine svolta da Legambiente in collaborazione con il quotidiano Metro, infatti, fotografa nella notte del 15 febbraio 2011 una situazione tutt’altro che positiva: alle 23,30, in tutte le stazioni di deposito, risultano disponibili solo 85 bici, all’incirca un quarto del totale.

A seguito dei numerosi insuccessi, nell’estate 2011 il Campidoglio ha deciso di emettere un bando per affidare il servizio a una società privata. Il piano prevede il rinnovo delle 29 postazioni esistenti e l’aggiunta di altre 41. In totale si salirà a quota 70 stazioni e a un parco di 850 biciclette. In cambio Roma ha promesso di concedere 1500 metri quadrati di spazi pubblicitari per 12 anni, ovvero 700 nuovi impianti che andranno in deroga al piano regolatore degli impianti pubblicitari. Oltre alle difficoltà legate alla gestione, Roma si è segnalata per qualche problema relativo al mantenimento ed alla manutenzione della flotta di mezzi. Come denunciato a più riprese dal sito Bike Sharing Roma è infatti sempre più difficile trovare una bicicletta in città. Spesso gli stalli sono vuoti, occupati dalle automobili che parcheggiano selvaggiamente impedendo il riposizionamento dei mezzi, oppure offrono solo poche bici guaste. Non ci sono dati ufficiali, ma sembra che molte siano state rubate. «Alcune realtà, tra cui Roma, soffrono di pesanti inefficienze e di atti di vandalismo che cannibalizzano il bike sharing», conferma Bertuccio. «I problemi della Capitale sono comuni a molte altre realtà, italiane e internazionali. Il vandalismo e l’inciviltà sono infatti costumi largamente diffusi anche all’estero».

Nel 2002 Vienna, a pochi mesi dall’inaugurazione, fu costretta a sospendere il bike sharing per i continui furti. Anche nell’insospettabile Copenaghen, una delle città pioniere del settore, quando il servizio fu inaugurato nel 1995 molte biciclette furono rubate o danneggiate. In quel caso, però, alla delusione inziale seguì un impegno ancora maggiore da parte delle amministrazioni locali: così oggi la capitale danese vanta uno dei bike sharing migliori del mondo. In Italia è successo anche a Milano, quando nel 1987 il sindaco Paolo Pillitteri aveva comprato 500 bici gialle per la sua città. La metà non sono durate nemmeno un giorno. Ora, i moderni sistemi elettronici hanno limitato molto furti e danneggiamenti, che comunque restano il problema principale del bike sharing. Come rimediare? «In primis – sostiene Bertuccio, il direttore scientifico dell’associazione Euromobility – presidiando le stazioni di prelievo con delle telecamere. In secondo luogo è necessario che il sistema venga continuamente “coccolato” dal gestore, che deve farsi carico di effettuare controlli e manutenzione continui».

E per quanto riguarda la convivenza tra automobili e biciclette, cosa si può fare per migliorare la situazione? «All’estero si è visto: le due ruote prendono piede quando si attuano politiche di tolleranza zero nei confronti degli automobilisti che parcheggiano davanti alle colonnine o lungo le piste ciclabili. A suon di multe da 150 euro, la voglia di usare la macchina selvaggiamente diminuisce». Il processo di radicamento di una cultura della bicicletta passa quindi da misure forti, in grado di trasformare il pensiero condiviso dalla cittadinanza sul tema. «Serve una campagna di sensibilizzazione, sia nei confronti dei cittadini, che devono imparare a vivere in modo sostenibile, sia nei confronti delle amministrazioni, che devono investire sempre di più sulla mobilità alternativa – prosegue Bertuccio -. I costi non sono esigui, anche per quanto riguarda il bike sharing: si calcola che in media ogni bicicletta costi all’amministrazione locale tra i 1000 ed i 1200 euro l’anno. Ricordiamo anche che i costi dei sistemi di gestione del bike sharing sono a carico dei comuni, a differenza del trasporto collettivo, che è sostenuto al 60% dalle regioni. Gli abbonamenti sottoscritti dagli utenti, le cui tariffe restano volutamente basse, coprono per ora soltanto il 25-30% delle spese totali di gestione».

Come si delinea quindi il futuro per il settore della mobilità alternativa? «La novità più grande degli ultimi anni, in Italia, è stata proprio il bike sharing – sostiene il direttore scientifico di Euromobility -. Qui la diffusione è stata ancora più capillare che all’estero, dove in generale si è limitata alle grandi città. Ora speriamo che si diffondano anche il car sharing e gli autobus a chiamata, una nuova tendenza. Nei prossimi mesi, però, ci sarà una rivoluzione legata al fotovoltaico». Le nuove frontiere del bike sharing coinvolgono anche le energie rinnovabili: stanno infatti nascendo in tutta Italia progetti per la realizzazione di pensiline con pannelli fotovoltaici che serviranno a ricaricare le biciclette elettriche depositate. Il ministero dell’Ambiente ha emesso un bando per finanziare 57 di questi progetti sparsi per la penisola. Le bici elettriche potranno percorrere fino a 60 km con una velocità massima di 25 km/h. Sicuramente un nuovo impulso allo sviluppo del bike sharing, che coinvolgerà anche le persone più anziane le quali, grazie alla pedalata assistita, potranno scegliere le due ruote come mezzo di trasporto per la città. Questi progetti entreranno a pieno regime all’inizio del 2012.

Il bike sharing si configura dunque come un tassello importante nella mobilità del futuro; nei prossimi anni, infatti, le biciclette ricopriranno un ruolò sempre più fondamentale. «L’importante è che si diffonda una cultura della bicicletta – conclude Bertuccio – il vero obiettivo è far sì che le persone decidano di usare la propria. Quasi tutti ne abbiamo una, no? Il Bike Sharing dev’essere un volano per la ciclabilità, deve abituarci all’uso responsabile del mezzo».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter