Hugh Grant e Boris Johnson, la politica inglese non la fanno più i leader

Hugh Grant e Boris Johnson, la politica inglese non la fanno più i leader

Mitigata dai piacevoli effetti dell’Indian Summer che ha interessato l’isola, la politica inglese si prepara a concludere la stagione delle conferenze dei suoi tre maggiori partiti, prima di tornare a fare sul serio in Parlamento. Gli ultimi in ordine di tempo a ritrovarsi a corte sono i conservatori del Primo ministro David Cameron che nel suo discorso ha chiesto ai cittadini britannici di saldare i propri debiti per permettere all’economia di uscire da una recessione anormale.

Capi alle prese con una leadership da rafforzare se non riaffermare, come hanno dovuto fare Nick Clegg tra i liberaldemocratici o Ed Miliband con i laburisti. Salvo incappare in due imprevisti capaci di conquistare spazio e attenzione: un attore con una missione politica e un politico che veste ottimamente i panni dell’attore. Perché se apparentemente Hugh Grant e Boris Johnson hanno ben poco in comune, a conti fatti hanno lasciato un segno allo stesso modo.

Il primo ha marcato visita a tutte e tre le Party Conference per portare avanti la battaglia contro l’invadenza di certa stampa nella vita privata, sulla scia dello scandalo che ha colpito il News of the world e l’impero mediatico di Rupert Murdoch, assumendo il ruolo di uomo immagine della campagna “Hacked Off”  che si è fatta promotrice dei diritti delle vittime di hackeraggio telefonico. Grant ne sa qualcosa di caccia allo scoop, non solo perché i suoi recapiti telefonici erano tenuti sott’occhio dai tabloid: nel 1995 finì nel tritacarne dopo essere stato pizzicato in macchina dalla polizia di Los Angeles con una prostituta. Seguirono foto dell’attore tanto ambito dal pubblico femminile grazie al ruolo da protagonista in “Quattro matrimoni e un funerale” mentre sfogliava riviste pornografiche, quindi si fecero largo le voci di una presunta dipendenza sessuale e della separazione della compagna di allora, Elizabeth Hurley, con la quale troncò ufficialmente solo nel 2000.

Il sindaco di Londra ha invece disposto le pedine sulla scacchiera per ambire al ruolo di leader dei Tories in un prossimo futuro, nemmeno lontano. Tanto che ieri, nel suo intervento, ha proposto una via alternativa alla cura ordinata dal duo Cameron – Osborne: «Se troviamo la giusta struttura fiscale e normativa, allora l’iniziativa britannica farà il resto». Agli occhi di molti commentatori l’affermazione di Johnson invita il governo a tagliare le tasse e l’invadenza statale e la crescita verrà di conseguenza. Era il messaggio che attendevano di sentire i falchi del partito e con essi la parte più intransigente dell’elettorato, preoccupato dalle contaminazioni liberaldemocratiche e “social conservatives” all’interno della coalizione di maggioranza.

Tanto diversi, ma nemmeno troppo. Il fascino di Grant ha oscurato il politico di turno che posava al suo fianco nelle foto di rito, tradendo l’imbarazzo di chi, come Miliband, si era ritrovato di fronte una platea pronta a scaricarlo e impegnata a rimpiangere il fratello David. Dopo tutto, Grant è stato Primo ministro nella pellicola “Love Actually”.
Era il 2003, l’opinione pubblica aveva cominciato a scaricare Tony Blair e i produttori pensarono bene di affidargli il ruolo del nuovo e giovane capo di governo – per di più conservatore – che si presentava scapolo al Numero 10 di Downing Street, per la felicità della servitù che non avrebbe dovuto così fare i conti con figli e mogli (ogni riferimento a Cherie Blair era intenzionale). Finendo per innamorarsi della sua assistente, tanto da chiedere consigli al ritratto di Margaret Thatcher e da litigare con il presidente degli Stati Uniti che aveva osato allungare le mani su di lei, nel corso di una conferenza stampa: «Un amico che si prende gioco di noi non è più un nostro amico» (ogni riferimento al rapporto Blair – Bush era altrettanto intenzionale). Uno scatto d’orgoglio britannico suggellato dalla famosa scena in cui si mette a ballare per i corridoi di casa.

Anche Boris Johnson sa occupare la scena. Con quei capelli scapigliati e le molteplici espressioni del volto, strappa sorrisi ancora prima di prendere parola e si rende protagonista di alcuni sketch politicamente scorretti che fanno il giro del mondo. A poche ore dalla conclusione delle Olimpiadi 2008 di Pechino, celebrata da una imponente coreografia militaresca, si presentò di fronte alle telecamere visibilmente euforico per accogliere formalmente l’edizione 2012 dei Giochi nella sua Londra e dando la sua versione dei fatti sulla nascita del ping pong: uno sport inventato sui tavoli delle sale da pranzo britanniche. Mentre leggenda narra che da direttore del settimanale “The Spectator” dietro alla parete che ospitava una foto della Lady di ferro custodisse un piano bar segreto. Difficile per gli ingessati Cameron e Miliband reggere il passo.