Ichino a Sacconi: «Sbagliato evocare il terrorismo»

Ichino a Sacconi: «Sbagliato evocare il terrorismo»

«Licenziare per assumere». È il concetto che sta spaccando la politica. Chiunque abbia esperienza di mondi del lavoro, di posti di lavoro, di umani sul lavoro, sa perfettamente, al millesimo di grammo, cosa vuol dire licenziare per assumere. Significa essere egualmente severi con padroni e lavoratori, per cui ai primi lasciare la libertà di cacciare i lavativi e ai secondi la possibilità concreta di difendersi dai furbi che vogliono spadroneggiare in azienda, interpretando le leggi a loro uso e consumo. È per trovare un delicatissimo punto di sintesi tra due posizioni apparentemente inconciliabili che un bel giorno della Creazione, dio creò il giuslavorista.

La destra, rappresentandola per quella che oggi è, si trova nella piena disperazione. Ha dovuto mettere giù una lettera zeppa di buoni propositi per tranquillizzare l’Europa, senza numeri nè progetti definiti, e alla fine, con la solita approssimazione giornalistica ma poi neanche troppo, il tutto è stato sintetizzato con i ben noti «licenziamenti facili». La destra, dalla sua moderna nascita berlusconiana, sotto questo cielo non ha mai avuto un’idea propria, avendo affidato le istanze più accorte a sinceri riformisti, com’era ad esempio Marco Biagi, e com’è oggi Pietro Ichino, l’uomo a cui paradossalmente la compagine berlusconiana s’ispira per affrontare il tema con un minimo di competenza.

Ecco, la competenza. E pure la responsabilità. Come mai, giusto per parlare di responsabilità, a un ministro come Sacconi, politico di lungo corso, è venuto in mente di evocare il terrorismo sprofondato sul divano di casa, straparlando di paura per le persone che lavorano con lui e che non sono protette come lui; come mai, in tempo di pace, una persona delle istituzioni nel pieno della sua maturità getta un’ombra così inquietante all’interno della società? Sa qualcosa che noi non sappiamo, il signor ministro, sa qualcosa che gli deriva dalla sua importantissima condizione politica?

È quello che abbiamo creduto sino al momento in cui non ci ha raccontato, lui stesso, che aveva tratto quelle sensazioni (convinzioni?) – tradotte poi in dichiarazioni pubbliche – da ciò che aveva visto in quella piazza infuocata di Roma nel giorno degli indignados. Nessuno, neppure il ministro deputato all’ordine pubblico, si era peritato di allargare così sensibilmente la questione. Sacconi sì. A lui, ha risposto Ichino. In maniera puntuale, con la solita serietà. Ma senza fare sconti: «Credo che il rischio di un’azione violenta da parte dei terroristi – ha detto a Radio24 – non sia oggi maggiore di ieri e che comunque non debba essere usato per limitare il dibattito sulle questioni della politica del lavoro, soprattutto sulle questioni calde, delicate com’è quelle che è sulle prime pagine dei giornali in questi giorni». Insomma, una stroncatura solenne del ministro.

Per coniugare mercato e solidarietà, in questa Italia è ancora necessario un uomo di sinistra (riformista), e viene alla memoria quel 1994 quando nel programma di Forza Italia un giovane professore di nome Del Debbio s’addestrò inutilmente alla bisogna. Il successo non gli arrise, non tanto per mancanze proprie – il tipo era animato da buonissimi propositi – , quanto dall’inconsistenza di quel centro-destra. Un editoriale memorabile di Galli della Loggia sul Corriere della Sera definì quel crepaccio delle idee con un’inappellabile sentenza di morte politica: «La cultura della destra è una cultura da bar». E a nulla servì l’ideuzza berlusconiana di rivestire di buoni libri e buoni studi quel vuoto pneumatico, elevando i Professori (Colletti, Melograni, Rebuffa, ecc.) a vera e propria entità politica del partito.

Oggi, il dramma sempre appartenuto alla destra sta contagiando pericolosamente la sinistra di Pier Luigi Bersani. Nella spaccatura intorno all’ormai noto «licenziare per assumere», le parti si sono ampiamente rovesciate: il ministro Sacconi, che non sa dove volgere il capo e se ne va per bubbole terroristiche, si vede costretto ad aggrapparsi al piano Ichino, «un codice del lavoro semplificato composto di 70 articoli molto chiari, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente», mentre il partito di Ichino, il «suo» partito, lo sconfessa apertamente per bocca della persona più titolata, e cioè il responsabile economico, Stefano Fassina: «Parla a titolo esclusivamente personale». A titolo personale?

Semplificando: Ichino di destra? Impensabile, naturalmente, ma politicamente possibile in questa Italia dove la divisione non è più tra centro-destra e centro-sinistra, ma tra sinistra di sinistra e sinistra di destra, quest’ultima ovviamente rappresentata da quel gran furbone di Matteo Renzi, a cui una personalità giudiziosa come Pietro Ichino fa davvero molto comodo.

La domanda che qui si rivolgerebbe a Pier Luigi Bersani è la seguente: la sinistra può rischiare di perdere un giuslavorista come il professor Ichino, lasciando che se ne impossessi una destra senza idee? Se è per un mero calcolo numerico, la risposta è evidentemente sì, il segretario tiene molto di più al popolo della Camusso, secondo cui le teorie di Ichino sarebbero niente più che avventurismi. Ma questo è semplicemente un atteggiamento difensivo, che protegge i voti che hai e non si proietta verso nuovi elettori.

Già, nuovi elettori. Siamo così certi che Bersani sia alla ricerca di nuovi elettori, quegli elettori liberali, sinceramente liberali, che mai voterebbero questa destra senza prospettiva e che dalla sinistra aspettano un segnale forte, di cesura con un certo passato garantito, insomma anche uno vero strappo per considerare la buona borghesia – quella veramente buona – finalmente come un «tuo» patrimonio?
Se il segretario lo pensa, ne dia un segnale. Ma temiamo che i sondaggi che circolano lo stiano portando su una cattivissima strada, gli raccontano che probabilmente vincerebbe anche restando nel recinto della sinistra più conservativa. Occhio segretario, occhio…
 

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