“Noi indignati spagnoli per ora non facciamo un partito”

"Noi indignati spagnoli per ora non facciamo un partito"

MADRID – Tutto ebbe inizio il 15 maggio 2011, con una manifestazione convocata dalla piattaforma #DemocraciaRealYa a Madrid, che sebbene raccolse molta affluenza, inizialmente né gli organizzatori, né i partecipanti la pensarono come la madre di quella che solo pochi mesi dopo sarebbe assurta alle colonne di Twitter come la #GlobalRevolution.

A raccontarci come è nato questo figlio a più di 900 teste, poliglotta e rivoluzionario è Florencia, una delle responsabili della comunicazione degli Indignados spagnoli, e portavoce per la stampa estera, invischiata nella Spanish Revolution fin da quella sera di maggio in cui dalla Puerta del Sol un gruppo di cittadini spagnoli aprì il “vaso di Pandora” dell’indignazione. 

L’appuntamento per ascoltare il suo racconto è in un bar del centro di Madrid, e non in un quartier generale. Su un tavolino del bar è appoggiato un pc, acceso, connesso al Twitter del movimento. Florencia, poco distante, parla al cellulare, si scusa, ma è in collegamento con il Messico, anche lì vogliono notizie sulla grande manifestazione globale del #15O. “Sai come si dice, no? Più vi estendete e vi fate piccoli, più è difficile che il potere vi trovi”, ci spiega F. “Ecco perché sono qui in un bar, da mesi lavoro da casa alla comunicazione del 15M, connessa in rete, non abbiamo un luogo di incontro, a parte le assemblee di quartiere e Sol come punto di riferimento per manifestazioni ed iniziative”.

Ma come è nato tutto questo? Non siete spaventati voi stessi da quello che avete creato?
Tutto è iniziato con quella manifestazione del 15M, come ti dicevo. Poi alla fine della giornata ci siamo ritrovati a parlare fino a tardi in centro, e dall’assemblea è venuta l’idea di non tornare a casa, di restare lì, a manifestare la nostra indignazione e stare uno accanto all’altro, uniti nel dissenso.

E poi? Cosa è successo?
Beh, si può dire che la situazione ci abbia preso più di quanto ci aspettassimo. Le sere successive, oltre a capire che non era stato un caso la scelta di restare lì, insieme, a parlare, ma che ogni ora nascevano assemblee, dibattiti, gruppi diversi di gente interessata a diversi argomenti, che poi sono diventati i gruppi di lavoro e di proposta, è successo che cominciavamo ad essere molti, tanti. Venivano i media ad intervistarci, e l’unica cosa che trovavano era gente di tutte le età e di ogni provenienza sociale e politica che parlava di cambiare le cose. Poi, già dalla seconda notte abbiamo cominciato a ricevere la solidarietà degli abitanti del quartiere, ci portavano cibo, acqua, coperte. E così abbiamo iniziato a costruire quei piccoli chioschi che poi sarebbero diventati l’accampata Sol.

Ma perché proprio in Spagna? Alla luce dell’estensione globale del movimento sembra che in tutta Europa esistesse quest’indignazione, perché allora la rivoluzione nasce proprio in un Paese con un welfare molto sviluppato?
Ti posso dare tre spiegazioni. Una politica, una sociale e una spirituale. Quella politica è che dalla Transizione spagnola in poi, e forse proprio per il moderatismo che questa richiese, in Spagna soprattutto i giovani sono stati esclusi dalla politica, non l’hanno mai potuta vivere da dentro, né ribellarsi ad essa. E quella notte di maggio, anche per questo, fu come aprire il vaso di Pandora di questa necessità partecipativa, che cercava una democrazia reale, in cui ogni quartiere, ogni cittadino potesse davvero contare nelle decisione politiche. La seconda risposta, quella sociale, è che in Spagna si è sottovalutato per anni il valore dei giovani, senza lavoro, senza un futuro, quasi come non esistessero. Pure macchine da voto, per la maggior parte disoccupati. La tensione sociale era troppo forte per poter essere taciuta ancora, soprattutto in un momento di crisi, in cui, uniti in modo fraterno, abbiamo capito che i nostri rappresentanti con le loro scelte piegate a servizio del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea non ci rappresentavano più. La risposta spirituale invece è che qualche giorno prima della manifestazione, in Puerta del Sol si era riunito un gruppo a praticare tecniche di rilassamento, e pregò perché si aprisse lì un canale energetico. Quasi una prova generale dell’energia che si sarebbe incontrata in quel punto di lì a poco. E da Puerta del Sol, sgombrata qualche mese dopo in favore dell’estensione della democrazia reale a tutti i quartieri di Madrid, poi a molte città spagnole, la rivoluzione ha contagiato più di 900 città europee e mondiali e oggi arriva a Bruxelles.
 

Ve lo aspettavate? Cosa si prova a vedere tutto questo?
Beh, la verità è che è venuto tutto da sé. Ad un certo punto abbiamo capito che il bambino che avevamo partorito dovevamo lasciarlo andare via dalle nostre braccia e che, sostenendolo con l’organizzazione che abbiamo messo in piedi, avrebbe dovuto iniziare a camminare con le sue gambe e fare la sua strada. E così è stato. Certo, inizialmente eravamo spaventati, anche se in senso positivo. Venivano a parlare con noi premi Nobel, economisti, sociologi, da tutto il mondo. Ma la parte migliore è iniziata quando dopo Lisbona si è unita anche Parigi, poi Atene, e il #15O si scende in strada anche a Tokyo, in Colombia e Cile, a Wall Street e anche Roma sembra aver attecchito, finalmente. 

Dalla Commissione Europea è arrivato l’invito per un incontro, cosa rispondete?
La stessa cosa che abbiamo risposto al Parlamento spagnolo. Noi siamo venuti da voi molte volte, vi abbiamo votato e non ci rappresentate più, se volete parlare con noi e siete interessati alle nostre proposte per un mondo migliore, venite voi alle nostre assemblee e ne parleremo. 

Non avete paura che tutto questo fallisca?
Questo movimento non può fallire, perché stiamo lavorando su più livelli. Dal quartiere alle proposte economiche globali. Forse per queste ultime bisogna aspettare di più perché qualcuno ci ascolti e diventino operative, ma le altre no. Le altre sono proposte che una nuova cittadinanza attiva può mettere in atto da sé. E già lo stiamo facendo, ognuno nella propria città e con le differenze che caratterizzano ogni Paese. Ma uniti, umanamente, questo sì. Perché loro non ci rappresentano, ormai è chiaro.

Alle elezioni amministrative del 22 maggio in Spagna siete riusciti, con l’appello all’astensione, a convincere molta gente a non votare. Programmi per le elezioni nazionali del 20 novembre?
Non abbiamo programmi. In realtà la nostra agenda è svincolata da quella politica nazionale. A parte il 22 maggio, in cui alla nostra voce si sommarono i disillusi dalla politica che non andarono a votare, per novembre stiamo pensando a varie iniziative, ma ancora non abbiamo deciso, non ci interessa, chiunque vincerà le elezioni non ci rappresenterà.

Ma davvero per voi non ha importanza chi vinca? Sono davvero tutti uguali secondo voi?
Dal punto di vista della macchina democratica, sì. Non è così che pensiamo la democrazia reale, non è così che vogliamo essere rappresentati. Quindi è lo stesso, vincano i popolari o i socialisti. Dal punto di vista del programma politico, quello che sappiamo è che i popolari in quanto a libertà d’espressione e appoggio sociale ci renderebbero le cose più difficili.

Un partito vostro?
Per ora non è nei nostri programmi. Anche se sono vari i partiti nuovi che nascono in nome del 15M o addirittura con il nome 15M, ma non hanno niente a che fare con noi.  

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