Anno 2020, le vite disperse di Ferrara, Travaglio & Co.

Anno 2020, le vite disperse di Ferrara, Travaglio & Co.

Rovine fumanti d’inizio millennio si abbattono sui destini amari di chi, per un verso o per l’altro, ha piegato la sua vita sulla vita altrui, meglio su UNA vita altrui, quella di Silvio Berlusconi. In questo momento, in cui milioni di lutti si elaborano ed esistenze intere si spezzano senza ritorno, ci piace immaginare, con il sorriso sulle labbra, la vita prossima futura di chi, al Cavaliere, ha dedicato persino più dell’impegno, mettendoci cuore, fegato e una parte, decisamente maggioritaria, della propria fama. Come vedrete, ognuno ha preso strade diverse, ma tutti, inesorabilmente, lo rimpiangono.

GIULIANO FERRARA – Respinto da numerose case-famiglia comuniste, a cui sottopone invano il suo baldanzoso curriculum di segretario del vecchio Pci torinese, il direttore del Foglio viene accolto, con slancio immediato, da una comunità Rom abbonata a Repubblica, il cui capo villaggio rivendica orgogliosamente una lontana amicizia con Barbara Spinelli. A Ferrara, comunque, la comunità affida con totale serenità l’indottrinamento dei bambini, sapendone lo slancio politico genuino e libertario. E difatti, dopo pochi mesi arrivano i primi, splendidi risultati: ai pargoli le buone azioni – come accompagnare una trepida vecchietta al semaforo – appaiono come il prodotto ipocrita di una società malata, mentre assumono valore morale, grazie all’insegnamento del bravo Giuliano, i comportamenti ben oltre il limite della decenza, come ascoltare in religioso silenzio la storia politica di Fabrizio Cicchitto. Dopo due anni nel campo Rom, completamente riabilitato, adesso Giuliano Ferrara vive in Francia. Cura un passaggio a livello ed è molto elegante nella sua divisa verde marcio.  

MARCO TRAVAGLIO – Da anni, i colleghi gli fanno credere che Il Fatto Quotidiano esca regolarmente in edicola. L’eroico direttore Padellaro, ormai sull’orlo di una crisi di identità, insieme a una pattuglia di ex giornalisti della testata, organizza quotidianamente una messinscena degna della Stangata: riunione la mattina, esame della situazione politica, quantità di pezzi da produrre contro il Cavaliere, e poi colonnino storico da destinare al grande Marco nazionale. Non si sa sino a quando il castello reggerà, ma tutti sono impegnati in uno sforzo titanico pur di non rivelare l’amara verità all’amato editorialista. Il quale, peraltro, in un colloquio piuttosto agitato con Padellaro, si è lamentato per lo scarso impegno dei “giudiziari”, che a suo dire batterebbero la fiacca su Berlusconi (da quel momento, il direttore si è visto costretto a chiedere a tre vecchi amici di spacciarsi per magistrati e telefonare ogni mattina in redazione). C’è però un elemento sospetto che ha generato in Travaglio una certa perplessità: come mai nessuno tra i destinatari dei suoi pezzi gli ha ancora risposto?   

EMILIO FEDE – Esaurita la travolgente esperienza di migliore amico di S.B., il nostro direttore è stato subito cooptato nel consiglio di amministrazione dei casinò di Las Vegas, dove tiene corsi intensivi per giovani spogliarelliste. Nel frattempo, ha messo a segno un vero e pieno successo letterario con il trattatello liberale «Come spolpare un vecchio bavoso e vivere felici», autentico best seller arrivato ormai alla settima edizione, il cui ricavato, peraltro, gira meritoriamente alla onlus «Fondazione Olgettina». Fa ancora le vacanze in Italia, paese in fondo a cui deve tutto, e ogni tanto ripassa da Milano 2 dove gli anziani pensionati del Tg4 gli organizzano piccole festicciole a tema. L’ultima, dal titolo «Farò di te una Meteorina», lo ha particolarmente commosso. Oltre a una dignitosa pensione, Fede ha diversificato gli investimenti, avendo acquistato, insieme a Lele Mora, un banco di grattachecca sul Lungotevere Mellini, a Roma. Tra i due, ultimamente, è sceso un po’ di gelo: Lele sospetta che Emilio gli faccia la cresta sullo sciroppo al tamarindo.

NICCOLO’ GHEDINI – Avendo perso l’unico cliente di studio, il medesimo S.B., Ghedini, come avvocato, è tecnicamente fallito. In questi giorni, sta facendo pressioni sul vecchio amico Maurizio Gasparri (peraltro a spasso anche lui) perché si convinca a sostenere la sua candidatura come amministratore del condominio in cui vive l’ex esponente di An. Ma Gasparri nicchia, memore dei casini epocali in cui l’avvocato ha sempre cacciato Berlusconi, soprattutto adesso che ha quasi convinto gli altri condomini sulla necessità di una rastrelliera comune per le biciclette. Ghedini, al quale notoriamente la trattativa fa ribrezzo, gli ha consigliato almeno di attaccare le cicche americane sulle pareti dell’ascensore, evitando anche la più piccola cortesia con i vicini di casa. Nel frattempo, quei quattro-cinque miliardi che l’ex avvocato padovano è riuscito faticosamente a risparmiare in una decina d’anni grazie al suo unico cliente, hanno coronato il sogno delle adorate sorelle, Ippolita e Nicoletta, un tempo anch’esse avvocate, alle quali Niccolò ha aperto un negozio di pregiatissimi filati in centro città dal nome «Mavalà». Da bravo fratello, ogni tanto le va a trovare e loro gli insegnano il punto croce.

AUGUSTO MINZOLINI – È da due anni nascosto nei cunicoli di Saxa Rubra, una sorta di esilio-rifugio, esattamente dal momento in cui il consiglio di amministrazione della Rai ne ha decretato la sostituzione. Nessuno riesce a trovarlo, e a nulla sono servite le ricerche spasmodiche di una squadra speciale dei Nocs, il cui responsabile, maggiore Mascetti, appena conclusa la missione, ha rassegnato le dimissioni considerandola come «la più grande cagata della storia». Eppure, di Minzo ogni giorno si hanno notizie e sotto forme diverse: grazie alla pelata traslucida che ritrasmette raggi laser per tutta la città, c’è chi lo vede la sera, intorno alle nove, girare per locali in cerca di gnocca. Se riconosciuto, l’ex direttore del Tg1 nega ovviamente di essere lui, e lancia un cane ringhioso all’inseguimento del malcapitato. Altri, intorno a quelle cabine fotografiche fai-da-te, ne trovano in terra foto-tessera sparse. Questo elemento, apparentemente inspiegabile, avrebbe particolarmente colpito i Nocs che alla fine di lunghe e approfondite indagini, anche sul piano psicologico, ne hanno dato l’unica spiegazione plausibile: l’ex direttore, in pericolosa astinenza da Tg, si apparta in cabina, tira la tendina, e come un vecchio attore consumato recita allo specchio tutti gli editoriali che lo hanno reso famoso in questi anni felici.

DANIELA SANTANCHÈ – È forse la situazione più complessa e delicata. L’antica pasionaria del Cav. tutte le mattine si sveglia e fa il numero di Arcore. Solo che è il numero vecchio – Silvio lo ha cambiato dopo il tracollo – per cui le risponde la panetteria Bersani, la cui proprietaria, lontanissima parente del vecchio segretario Pd ma non altrettanto gentile, la spedisce regolarmente a quel tal paese. Così, per una decina di telefonate, poi la nostra Daniela si placa. A quel punto, la giornata prosegue con la lettura appassionata dei giornali dell’epoca, l’epoca in cui, a dito medio sguainato, la signora si faceva largo tra folle di comunisti. Tale lettura le produce qualche timida e nostalgica lacrimuccia, che tampona agevolmente con un fard di ultimissima generazione, e poi chiede ad Arturo – il maggiordomo che il Cav. lasciando Roma le ha ceduto a titolo definitivo per trecentomila euro – di provvedere alla messinscena: come l’Angelo Azzurro scende da un avvolgente scalone a forma di chiocciola cantando «Meno male che Silvio c’è». E Arturo, per contratto, si commuove. E applaude alla sua signora.

MICHELE SANTORO – Tramite amicizie influenti, tanto per non far nomi Gianni Letta, ha già chiesto al governo Monti di esaminare la possibilità concreta di togliere il giovedì tra i giorni della settimana. Insomma, passare dal mercoledì direttamente al venerdì. Ogni maledetto giovedì, infatti, il povero Michele si chiude in casa e non vuole vedere nessuno. Ha proprio murato un pezzo dell’abitazione, dividendola dal resto, cosicché ai familiari, tutti i venerdì mattina, tocca chiamare i pompieri per abbattere il tramezzo. Ogni volta trovano un uomo molto provato, al quale tentano di spiegare che persino Sandro Ruotolo è riuscito a rifarsi una vita. Niente. Santoro, peraltro, negli altri giorni della settimana mantiene uno standard di vita piuttosto banale, senza eccessi, e ha persino ricucito il rapporto col vecchio Masi, anch’egli totalmente spaesato dopo l’addio del Cavaliere. Tre pomeriggi la settimana, si ritrovano da Trony a Ponte Milvio dove la Direzione, consapevole del nobile passato di entrambi, ha garantito loro un piccolo uno spazio all’interno del grande reparto televisori, dove i due possono dispensare buoni consigli e firmare persino qualche autografo alle vecchiette che ricordano i bei tempi.

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