La legge elettorale non si può modificare. I temi etici sono proprietà esclusiva della politica. Sulla questione Fiat il governo ha il dovere di essere neutrale. La patrimoniale? Non se ne parla nemmeno. Tra paletti, diktat e ultimatum, a Mario Monti è rimasto ben poco da fare. Le riforme non sono state ancora presentate nel dettaglio e i partiti hanno già posto i loro veti. Il risultato è paradossale: il governo chiamato a salvare l’Italia dalla crisi finanziaria non è libero di proporre quasi nulla. Per ottenere i voti del Parlamento l’ex commissario Ue sembra costretto a sottostare alle condizioni dei leader politici. E chissà se davanti a un esecutivo con mani e piedi legati, forse tanto valeva andare subito al voto.
L’ultima questione riguarda il diritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia. In buona fede, convinto del «mutato clima politico», ieri il presidente Giorgio Napolitano ha invitato governo e Parlamento a esaminare l’argomento. Apriti cielo. Le reazioni più dure – e largamente attese – sono state quelle dei leghisti. Più pericolose quelle del Pdl. Nemmeno il tempo di intervenire nel dibattito e il nuovo governo è già stato minacciato di sfiducia. «Questa materia è estranea all’emergenza economica per cui nasce l’esecutivo Monti» ha tuonato l’ex ministro Ignazio La Russa. «Questa è la strada giusta per far cadere il governo».
Pochi giorni fa l’ex premier Silvio Berlusconi è stato ancora più diretto. Non si è limitato a fissare i paletti, ma ha letteralmente dettato a Monti i (pochi) temi su cui la sua squadra potrà lavorare. In una lunga intervista al Corriere della Sera il Cavaliere ha elencato: no alla patrimoniale, no alla possibilità per gli esponenti di governo di ricandidarsi, no alla legge elettorale. In compenso l’esecutivo tecnico sarà libero di rendere operativa la lettera di intenti presentata qualche settimana fa all’Europa (da Silvio Berlusconi).
Di riforma della legge elettorale il governo non può nemmeno parlare. Basterebbe tirare fuori l’argomento per rischiare la sfiducia in Parlamento. Il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto ha già minacciato: «L’esecutivo si tenga lontano da temi come la legge elettorale e la bioteca che complicherebbero molto la sua vita». Sembra quasi un avvertimento. Il governo si limiti a proporre quello che i partiti gli dicono di fare: «Lasciamo stare le cose come stanno – ha bacchettato Cicchitto – non facciamoci prendere da velleità».
Chi vieta questo, chi detta quello. Tra i tanti ultimatum al nuovo governo fa sorridere la richiesta dell’ex ministro Renato Brunetta. Disposto ad accordare la fiducia a Monti, in cambio di «una dichiarazione ufficiale che tutto il governo non si candiderà in futuro a qualsiasi tipo di elezione». Ma, soprattutto, del riconoscimento formale «che siamo stati bravi».
La vicenda Fiat è un altro tabù. In questi giorni il Lingotto ha annunciato l’intenzione di estendere a tutto il Paese l’accordo di Pomigliano. I sindacati promettono battaglia. Ma l’esecutivo tecnico è costretto ad assistere in silenzio. Stavolta ad ammonire Monti e i suoi è stato l’ex titolare del Lavoro Maurizio Sacconi: «Credo che il governo debba rispettare l’autonomia delle parti», sarebbe «assurdo» se «giocasse una funzione di sponda a una posizione sindacale minoritaria».
Sui temi etici, spinosi anche per un governo regolarmente eletto, la squadra di Monti ha preferito anticipare la politica. Mettendosi dei paletti da sola. Il neoministro alla Salute Renato Balduzzi – uno dei pochissimi a parlare con la stampa – è stato fin troppo chiaro. «L’orientamento del governo – le sue parole al Corriere – è di lasciare che su queste tematiche prosegua il lavoro parlamentare legislativo. Procreazione assisitita? Non è nostra intenzione prendere ulteriori inziative, ci rimettiamo alle Camere». Almeno sulla bioetica il governo ha deciso di legarsi le mani da solo. Con la soddisfazione di Montecitorio.