«Caro Di Pietro, non appoggiando Monti faremo la fine di Bertinotti»

«Caro Di Pietro, non appoggiando Monti faremo la fine di Bertinotti»

Mi aspettavo che l’ultima riunione di partito affrontasse i problemi incombenti della situazione politica complessiva. Così non è stato. Nell’impossibilità ormai di farlo in una conversazione diretta affido a questo breve scritto ciò che mi sembra essenziale per una scelta utile al paese e al partito.

Intendo portare qualche argomento a sostegno di un nostro voto a favore dell’eventuale governo Monti, accompagnato dalla scelta di non entrarvi.

Noi potremo ripetere fino a un minuto prima della presentazione del governo la nostra preferenza per il voto anticipato. Ma ci rendiamo conto che è una prospettiva irrealistica. Siamo in una situazione in cui non solo i giorni ma perfino le ore contano nel fronteggiare il rischio di bancarotta. Due mesi di campagna elettorale possono seppellire il paese sotto la speculazione più sfrenata. Il paragone con le elezioni spagnole e greche non regge. Il nostro caso purtroppo è più grosso e più grave.

La nostra proposta di referendum sulla legge elettorale, sostenuta da una quantità imprevista di cittadini, gioca contro il voto anticipato: andare a votare con una legge che merita l’abrogazione? Insomma la richiesta di voto immediato ha un forte valore simbolico ma non è praticabile e la sua adozione non dipende da noi. Per di più soffriamo l’identità con la richiesta della Lega. Ciò ci condanna al ruolo speculare degli esclusi sui due lati opposti della scena politica.

Di fronte a ogni decisione da prendere nel prossimo periodo noi dobbiamo sempre rivendicare e rappresentare con efficacia il nostro ruolo decisivo nella demolizione del regime. Noi siamo quelli che hanno sostenuto la lotta con la maggiore coerenza ed energia, senza sbandamenti. Noi siamo tra i vincitori una componente essenziale. Affermarlo con orgoglio comporta una coerenza di comportamenti: dobbiamo essere presenti nei luoghi e nei momenti essenziali per portare a definitivo compimento la ricostruzione dalle macerie economiche, sociali e istituzionali prodotte dal regime.

Il voto contrario, ma anche l’astensione, nella fiducia all’eventuale governo Monti avrebbe il significato di un Aventino sterile e improduttivo. Ci attirerebbe la facile accusa di operare solo per lucrare voti e interessi di bottega (sono subissato da mail in questo senso inviate da chi ci ha votato). A nulla vale ribattere che anche gli altri sono mossi dagli stessi moventi. Noi saremmo fuori dalla possibilità di influire sulle decisioni e d’altro canto il nostro partito non è neanche attrezzato per assumere le bandiere dei molteplici ribellismi prodotti dalla società. Non avevamo detto che si deve passare dalla protesta alla proposta?

Ma se non funziona il ragionamento di tipo generale, anche l’egoismo di partito (una virtù per chi vuole durare) ci consiglia un atteggiamento diverso: fuori dalla maggioranza che sostiene il governo siamo i primi candidati (sempre insieme alla Lega!) a essere fatti fuori da una nuova legge elettorale impostata, se non sul principio della vocazione maggioritaria, almeno da una precisa conventio ad escludendum. L’esempio inglese è istruttivo: la terza forza può prendere tutti i voti che può ma i seggi non arrivano mai. Se nel centro del quadro politico maturano le forze sufficienti basterà loro ben poco per immaginare un trucco per eliminare le ali scomode. E si può scommettere che interesserà a lor signori stecchire noi assai più che la Lega.

Certo, noi sentiamo il compito di rappresentare un elettorato popolare: sicura vittima non solo di una manovra ma di una vera e propria logica economica basata sull’ideologia neoliberistica (l’unica ideologia rimasta sulla scena). Ma siamo sicuri che per evitare la macelleria sociale il metodo migliore sia escludersi a priori? Tentati da questa soluzione non possiamo dimenticare il precedente: la pessima figura fatta da Bertinotti e da Rifondazione, punita dal suo stesso elettorato con pessimi risultati elettorali. Un esempio da non seguire.
Gli sgarbi ricevuti dal Quirinale non possono essere ricambiati col favore di farci fuori da soli, ma semmai con la gentilezza più perfida. In nome dell’interesse del paese noi evitiamo di dare peso agli atti sgradevoli e impegniamo il partito nel compito più difficile.

L’obiezione che molti nostri sostenitori potrebbero avanzare (come possiamo stare in una maggioranza che comprende alcuni figuri del mondo berlusconiano?) può essere superata facendo loro osservare che proprio quei figuri hanno il compito più scomodo: resti sgangherati di una invincibile armata ora in disarmo, costretti a stare nella compagnia inevitabile e necessaria a liquidare la loro esperienza di governo. E qui è necessario impegnarsi a fondo. Un sostegno non a scatola chiusa, ma critico e propositivo. Su tutti i punti essenziali del programma utile a salvare il paese noi possiamo avanzare indicazioni convincenti. E soprattutto, più di tutti gli altri, possiamo rappresentare la necessaria logica di equità che l’azione di governo dovrà avere. La distribuzione equa dei pesi economici si accompagna al senso profondo dell’articolo 53 sull’imposizione fiscale progressiva, autentica e non a caso, dimenticata garanzia dell’articolo 3.

Di più: a seconda di come si configurerà l’assetto dell’eventuale governo Monti potrebbe avere senso perfino l’ingresso nel governo, soprattutto se ci fosse la possibilità di presidiare un ministero adatto a esercitare influenze innovative. Nell’impossibilità di ottenerlo meglio escludere l’occupazione di strapuntini umilianti. Garantire l’appoggio in modo disinteressato rafforzerebbe la capacità di persuasione del partito tra i cittadini elettori.

E, di fronte al concreto rischio di bancarotta del paese, i cittadini capirebbero senza difficoltà alcuna il principio di responsabilità che ci ha indotto ad assumere con fermezza il ruolo più scomodo.

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