Caro Monti, come salvare l’Italia in cinque mosse

Caro Monti, come salvare l’Italia in cinque mosse

“Io se fossi Dio …” attaccava una canzone di Giorgio Gaber il quale – dopo aver riconosciuto che avrebbe potuto esserlo ed aver considerato sia il da farsi che il da disfarsi – concludeva un po’ sornione ch’era meglio ritirarsi in campagna e lasciar stare l’intera complicata faccenda. Io in campagna mi son ritirato da tempo quindi posso ripercorre il fantastico sentiero di Gaber a ritroso ed immaginarmi di essere, se non proprio Iddio, almeno un signore tanto potente da poter convincere gli italiani ed il loro parlamento che questa volta qualcosa occorre cambiare per davvero, almeno sul piano economico, se non si vuole che finisca malamente. Vi sono, in effetti, anche importanti riforme non economiche da affrontare, ma i miei poteri divini sono, per oggi, limitati all’economico.

L’assunzione di questo ruolo onnipotente mi permette d’evitare l’eterna discussione sulle compatibilità politico-sindacali di questa o quell’altra proposta e di concentrarmi sul da farsi. Per organizzare le idee distinguo fra tre orizzonti temporali rilevanti: l’immediato (quello che aveva in mente il Sole 24 Ore con il drammaticamente erroneo “Fate presto” di ieri), il breve (sino alle prossime elezioni, qualunque sia la data in cui avranno luogo) ed il famoso lungo, che non arriva mai ma è l’unica cosa che conta. Il vero problema – che io pretendo risolto ma che è ben lungi dall’esserlo nella realtà – è proprio quello: come debba agire il nuovo governo onde far sì che, dopo le prossime elezioni, accada ciò che avrebbe dovuto accadere due o tre decenni fa. Di questo ci occupiamo nel seguito di questo articolo, domani o dopodomani.

L’immediato. Il problema non è tanto fare presto quanto fare bene. Non esiste un problema stringente di cassa quindi, nel breve periodo, non vi è alcun rischio di default da parte del Tesoro italiano a meno che, a causa d’un drammatico peggioramento delle aspettative, le aste vadano molto malamente nei prossimi mesi. Questo vale non solo perché, come ha sottolineato il nuovo governatore Ignazio Visco, il debito pubblico italiano è sostenibile per un po’ di tempo anche con tassi medi attorno all’8% ma, soprattutto, perché l’aumento dei tassi d’interesse, che tanto preoccupa tutti, dipende quasi essenzialmente dalle aspettative che gli operatori si fanno sulle prospettive future dell’economia e del debito pubblico italiano e non da una scarsità immediata di risorse finanziarie dovuta a deficit correnti eccezionali o imprevisti.

Nell’immediato, quindi, l’obiettivo numero uno deve essere quello di cambiare radicalmente le aspettative degli operatori sul futuro dell’Italia. Un compito non facile ma realizzabile se il nuovo governo eviterà di farsi sopraffare sia dall’atmosfera da ultima spiaggia che oggi domina nel paese (alimentata da un sistema dei media che invece d’informare mira solo ad emozionare) sia, soprattutto, dai tentativi di questo o quell’altro gruppo d’interesse di mettere le mani avanti stabilendo che è l’erba del vicino quella che va tosata, non la propria. In base a questo mio ragionamento il problema risulta essere più politico che economico, e così è. L’analisi economica, in ogni caso, aiuta ad inquadrare il problema politico perché ci permette di evitare di ripetere gli errori ripetutamente fatti in passato. Non vi è necessità, ripeto, di ripetere in grande scala i tagli lineari di tremontiana memoria né di sottoporre i risparmi degli italiani a patrimoniali capestro attuate nella notte. Lo stato italiano non sta esaurendo il contante ma una merce molto più preziosa: la credibilità. Va recuperata questa, anzitutto.

Questo non implica che non vi sia nulla da fare nei prossimi mesi: se non si fa nulla non si recupera credibilità. Alcune misure sono dovute da così tanto tempo che dovrebbero assolutamente essere adottate da un governo di transizione tra oggi e le prossime elezioni.

1) Ricondurre il trattamento economico complessivo dei funzionari ministeriali – quelli che, secondo la Relazione Banca d’Italia 2011, hanno ricevuto negli ultimi otto anni aumenti reali in eccesso del 25% – a quello dei loro colleghi (come gli insegnanti, per dire) che hanno invece goduto d’aumenti reali nell’ordine del 2-3%. Un criterio che raccomando consiste nella riparametrizzazione dei trattamenti economici del settore pubblico a quelli in vigore in altri paesi europei con redditi per capita simili al nostro, la Spagna per esempio. Lo stesso vale – il va sans dire ma per seriamente – per il sistema della politica, dal Quirinale alle municipalità.

2) Modificazione del sistema pensionistico in base a due semplici idee guida: (i) a tutti, ma proprio tutti, va garantito, entro il 2015, il medesimo tasso di rendimento atteso dei contributi lungo il ciclo vitale; (ii) allungamento dell’età lavorativa in modo tale che l’età attesa di pensionamento arrivi linearmente ai 70 anni nel 2025. Restrizione dei criteri per la concessione delle pensioni di invalidità, con effetto retroattivo per persone d’età uguale o inferiore ai 50 anni. Il rapporto pensioni/pil deve convergere al 10% nell’arco dei prossimi 10 anni.

3) Cancellazione del mostro chiamato “federalismo” e reintroduzione dell’ICI sulla casa. Dopo le elezioni affronteremo di nuovo la questione federale, che deve essere risolta seriamente e non stravolta come si è fatto.

4) Privatizzare tutto quanto lo stato possieda e che non sia strumento di produzione di beni pubblici (nel senso tecnico ed economico del termine). Vendere tutta l’Enel, l’Eni, la Cassa Depositi e Prestiti, Trenitalia, la Rai, Finmeccanica, eccetera. Tutti i proventi vadano a ritiro del debito. Liberalizzazione dei settori così coinvolti e di quelli dei servizi. La litania qui la conosciamo tutti, non serve ripeterla.

5) Adozione di un contratto di lavoro unico a tempo indeterminato, che permetta il licenziamento individuale per motivi economici, fatti salvi i casi di discriminazione politica, religiosa, sessuale, eccetera, che vanno appositamente regolamentati per legge. Abolizione della Cig (Cassa integrazione guadagni) ed introduzione di un sistema di assicurazione sulla disoccupazione simile a quello olandese.

Fatto questo possiamo andare alle elezioni e, per andare alle elezioni, occorre una legge elettorale decente e non l’indecente porcellum. Ma mi son proposto d’occuparmi solo di questioni economiche, quindi qui finiscono i miei poteri divini. Nella prossima puntata vedremo perché nella mia lista manchi la patrimoniale e cosa occorra fare dopo le elezioni. 

*Department of Economics – Washington University in Saint Louis

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