Niente da fare. Il protagonista assoluto è ancora Silvio Berlusconi. Si è dimesso da Palazzo Chigi, ha promesso che non si ricandiderà, giura che è pronto a farsi da parte. Ma le luci della ribalta sono ancora tutte per lui. E dire che questa sera al Tempio di Adriano, a due passi da Montecitorio, le premesse per assistere al ricambio generazionale erano concrete. Sul palco, insieme al Cavaliere, facevano bella mostra Angelino Alfano e Roberto Maroni. La presentazione del libro dell’ex guardasigilli offriva un’opportunità rara. La contemporanea presenza dei due delfini del centrodestra. Dei giovani che – incoronati da mesi di indiscrezioni giornalistiche – sembravano pronti per conquistare la leadership della coalizione. E invece anche stavolta il ticket del futuro è rimasto all’ombra dell’ingombrante presenza di Berlusconi.
Nel pomeriggio qualcuno aveva persino ipotizzato che durante l’incontro di questa sera il Cavaliere avrebbe simbolicamente passato le consegne al segretario del Pdl. Aspettativa vana. Certo, l’ex premier non perde occasione per riempire di lodi Alfano. Ma la strada per la successione sembra ancora lunga. “Tra tutti quelli con cui ho collaborato, la persona a cui mi sento più vicino è Angelino Alfano – ha raccontato il Cavaliere – Ha doti umane inarrivabili, è trasparente, leale, intelligente, determinato, mette entusiasmo nelle cose che fa”. Una sequela di complimenti quasi imbarazzanti. Ma l’endorsement? “Ho intravisto che potesse diventare il nuovo leader del centrodesta e ho perseguito questa intuizione” ha ammesso Berlusconi. Chiarendo poco dopo: “L’ipotesi di un governo Alfano-Maroni non c’è mai stata. Francamente non è passato nella testa di nessuno che si potesse fare una cosa del genere”.
Tanti saluti al ricambio generazionale. E anche stasera la scena è rimasta del Cavaliere. Colpa del suo popolo. I fedelissimi che hanno letteralmente preso d’assalto la sala conferenze, costringendo le forze dell’ordine a chiudere gli ingressi mezz’ora prima dell’incontro. Buona parte della responsabilità, poi, è dei media. Che terrorizzati dalla tediosa sobrietà di Mario Monti scalpitano non appena il Cavaliere si presenta in pubblico. Ma il grande merito è soprattutto suo. Della sua capacità di stupire. Delle sue doti di showman. Perché il Cavaliere avrà pure preparato nei dettagli la consegna del testimone al suo delfino, ma quando sale su un palco finisce inevitabilmente per oscurare chi gli siede vicino.
Berlusconi sorride, fa battute, conquista l’attenzione dei giornalisti come nessuno. C’è il cavallo di battaglia della “magistratura che inquina la vita democratica del Paese”. Ma anche la rivelazione che si conquista un titolo sui giornali: “Certamente riprenderò la presidenza del Milan”. E allora l’ex premier sarà anche pronto per la pensione, ma le redini del partito sono ancora nelle sue mani. Le alleanze del Pdl le decide lui. E quando Maroni ironizza sulla tenuta dell’accordo con la Lega è il Cavaliere che lo ferma. “Fanno gli spiritosi ma restano nostri alleati. Ho un appuntamento con Bossi che mi ha telefonato personalmente tutti i giorni da quando abbiamo dato vita al governo Monti”. Stesso discorso per il Terzo polo. Alfano cerca da settimane di riavvicinare Pier Ferdinando Casini, ma è il Cavaliere a tuonare: “Confido in un ravvedimento operoso dell’Udc. In caso di elezioni non potranno confluire nella sinistra, perderebbero due terzi dei loro voti. E nessuno fa le cose contro la propria convenienza”. Lucida e cinica previsione. Con buona pace dei centristi, degli uomini di Bossi, ma soprattutto di Alfano e Maroni.