Li vedi rientrare in redazione a testa bassa, mogi. Come se fosse accaduto loro qualcosa di brutto, di spiacevole. In genere non appena varcata la soglia della redazione faceva una corsa nella stanza del direttore, con quel sorriso malizioso stampato in volto e il ghigno beffardo. “Domani ci divertiamo”: questa frase la portavano scritta in fronte. E giù di tutto, a seconda del datore di lavoro, dell’orientamento politico della testata. Che ti serve? Una D’Addario? Una Ruby rubacuori? Una news-analysis sul bunga bunga? Bossi che chiama nano Brunetta? Un Senatùr col dito medio? Una Santanché che disserta di donne orizzontali e verticali? Che preferisci? Possiamo scriverne sei di pagine, chiama la tipografia. Anche gli altri, in fondo, i governativi, non se la cavavano male. In fondo col Pd basta grattare un pochino e di intonaco ne viene giù quanto ne vuoi. Certo, non si divertivano più come quando c’erano Bertinotti, Mastella e Turigliatto, però la pagnotta a casa la portavano sempre.
Oggi, invece, appena al terzo giorno di Mario Monti i giornalisti politici sono già sul depresso andante. Si sono beccati la ramanzina dal prsidente Napolitano al primo giorno. E ora quando rientrano in redazione lo fanno a capo chino e guardano con terrore a quelle ottanta righe da riempire. “Sì, direttore, qualcosa c’è, perché ci sono le beghe dei partiti, il pressing per Gianni Letta, Berlusconi che non molla. Ma finite le consultazioni sarà la morte. Questo non dice niente, può parlare mezz’ora senza darti un titolo. E noi che cosa faremo?”.
Ah, la seconda repubblica. C’è chi si è messo sulla scrivania una foto di Scilipoti, chi si appresta a celebrare il funerale del retroscena. Qualcuno, in giornali insospettabili, lo hanno trovato in bagno a singhiozzare e a invocare il ritorno dell’Odiatissimo. I più anziani, quelli che la prima repubblica l’hanno vissuta, provano a rincuorarli. Offrono loro un caffè, cercano di strappare loro un sorriso con aneddoti su Andreotti, Nicolazzi, magari Martinazzoli. Ma non c’è niente da fare. L’umore non cambia. Basta sollevare lo sguardo e incrociare l’immagine di Monti in tv per provocare altre lacrime.
Insomma, la pacchia è finita. Il massimo che il professore ha concesso alla pletora di cronista che domenica mattina ha assediato l’albergo dove risiede con la moglie è stata questa dichiarazione: «È una bella giornata». Capirai. Oggi li ha ringraziati al termina della scarna comunicazione, ma ha chiarito che rispondere sarebbe stata una mancanza di rispetto nei confronti del presidente Napolitano. Claudio Velardi, su Twitter, si chiede quando finirà il timore reverenziale dei giornalisti nei confronti di Monti: possibile che non facciano domande? Qualcuno sostiene che loro ci provano, “ma tanto è inutile. Lui risponde regalandoci il nulla”.
Lo chiamano nulla. Un tempo, quando Di Pietro Antonio era ancora un anonimo signore che faceva il magistrato, si chiamava arte della politica. La salvezza dell’Italia rischia di costare cara a chi per anni ha vissuto sapendo praticamente in diretta cosa accadeva nei consigli dei ministri. Forse oggi i giornalisti della seconda repubblica hanno vissuto uno degli ultimi sussulti con le reazioni all’intervista di Italo Bocchino su un’eventuale candidatura di Monti per le prossime elezioni. Uscite così, c’è da scommetterci, saranno sempre più rare. C’è chi giura di aver sentito qualche penna antiberlusconiana ortodossa pronunciare le seguenti parole: “si stava meglio quando si stava peggio”.