Apre il divano letto nel suo ufficio e si sdraia. «Approfitto dell’intervista per riposarmi un po’: sono qua in Regione da stamattina e ne ho ancora a lungo. Se la vivi come noi del Movimento 5 Stelle, la politica è un dispendio di energia che ti prosciuga». Giovanni Fàvia è considerato l’astro del grillismo emiliano. Fu il primo eletto, in Comune, a Bologna, nel 2009. È stato il primo eletto in Regione Emilia Romagna (assieme ad Andrea Defranceschi) nel 2010, dopo che il consiglio comunale era stato sciolto a seguito delle dimissioni di Delbono per lo scandalo Cinzia-gate. È entrato in consiglio regionale con 161.056 voti come candidato presidente, il 7% tondo tondo.
Classe 1981, si definisce un libero professionista “congelato”. «Mi occupavo di cinema», dice di sé. «Stavo mettendo da parte i risparmi per produrre un mio film».
«Perché abbiamo così tanto successo in Emilia Romagna? Perché qui c’è un centrosinistra addirittura peggiore del centrodestra, al di là di quanto viene sventolato in giro per l’Italia, con tutte quelle belle parole sul cosiddetto modello emiliano e le sue virtù. E poi perché qui – a Bologna soprattutto, ma un po’ in tutta la regione – c’è una società civile storicamente molto attiva e con le antenne alzate. Sempre un passo avanti su tutte le novità sociali e politiche. E, per finire, c’è un gruppo particolarmente agguerrito, molto attivo».
In Regione i grillini stanno a modo loro. Hanno lasciato allo Stato il milione di euro di rimborsi pubblici ai partiti, a cui avevano diritto. E ritengono eccessivo lo stipendio da consigliere. «Così», spiega Favia, teniamo solo 2.500 euro sui 9.800 netti che percepiamo. Purtroppo li dobbiamo ritirare obbligatoriamente. Ma poi versiamo immediatamente la differenza su un conto corrente del movimento che serve per le pagarci gli avvocati. Io e Andrea abbiamo già sei querele, anche Massimo Bugani, eletto in Comune a Bologna, ne ha. Ci portano di continuo in tribunale».
Un conto corrente, questo, che va di pari passo con lo Scudo della rete, attivato da Beppe Grillo a livello nazionale; un fondo a difesa dei blogger querelati. Sul suo blog c’è tanto di mappa per la geolocalizzazione degli studi legali a cui rivolgersi e l’elenco delle cause pendenti.
«Questo della Regione è un palazzo opaco», riprende Favia. «Qui ogni giorno si muovono milioni di euro e sui giornali non trovi una riga. In Comune, starnutisce il sindaco e i giornalisti fanno un paginone. È stata la strategia vincente di Vasco Errani: non far parlare della Regione. Da qua notizie non ne escono. Noi abbiamo aperto un canale di trasparenza tra cittadino e istituzione, anche se è difficilissimo. Siamo odiati; di un odio quasi fisico, un odio bipartisan. Al Pd dà fastidio che li attacchiamo sui soldi e sulla loro autorità morale. Ci hanno bocciato un emendamento al piano energetico regionale che prevedeva di costruire solo in classe A. Sono vecchi. Sono i camerieri dei costruttori. Hanno tutti ricevuto finanziamenti da aziende private e devono ricambiare i favori».
«Mi arrabbio quando dicono che siamo qualunquisti. È inconcepibile. La nostra non è antipolitica, ma anti-malapolitica. Noi vogliamo risvegliare il sentimento civico. C’è in giro una forte richiesta di sobrietà, efficienza, trasparenza e rispetto ambientale. Mi indigna la mediocrità dei politici. Il Movimento 5 stelle cerca di imporre la sua agenda. Sempre più spesso ci riusciamo. Il big bang di Renzi è tutto scopiazzato da noi. Tutti saccheggiano il nostro programma. La nostra più grande novità è la volontà di tenere fuori i soldi dalla politica e di bypassare le ideologie grazie all’intelligenza collettiva. Cerchiamo di incastrare i cittadini come in un puzzle, in un software. Questo permette di arrivare alla selezione naturale delle soluzioni migliori. Solo quello che funziona davvero resta a galla dopo tante discussioni, nelle quali ascoltiamo e diamo dignità anche all’ultimo arrivato».
Giovanni Fàvia con Beppe Grillo durante un comizio
Favia non ha troppa paura del passaggio al livello nazionale del Movimento: «A chi dice che non siamo pronti per selezionare i candidati, dico che tanto la biscia può essere già in seno. Scilipoti docet. Sono convinto che gli infiltrati li abbiamo già – puoi scriverlo – non che stiano per arrivare adesso». «Però», concede agli scettici, «condivido le preoccupazioni, sia chiaro. Il percorso è ancora tutto da costruire. Noi non sappiamo dove stiamo andando e, francamente con tutto quello che ho da fare in Regione, non posso passare il tempo a pensare al livello nazionale e alle elezioni politiche».
Eppure lui potrebbe essere uno dei candidati, se passerà la linea di proporre persone già in vista per il Parlamento e saranno messi a tacere i duri e puri che vorrebbero ogni volta sconosciuti, dilettanti allo sbaraglio, e che richiamano al dovere di concludere i mandati per i quali si è stati eletti, che sia la carica un consiglio regionale, come nel caso di Favia, o un modesto posto da consigliere di quartiere. Dopo le regionali, Favia fu già al centro di forti polemiche nel Movimento, in quanto promotore delle «secondarie». In breve: lui era stato eletto sia nel collegio di Bologna che in quello di Modena. Optando per quello di Modena, estromise Sandra Poppi, 717 preferenze, e aprì le porte al secondo classificato nel bolognese, Andrea Defranceschi, che ne aveva ottenute la metà e che ora siede con lui in consiglio. La scelta fu benedetta da un voto dei militanti (31 su 40) – le cosiddette «secondarie», appunto – ma non andò giù a chi riteneva che il Movimento 5 Stelle dovesse tenersi alla larga da questi tatticismi e premiare le scelte del territorio e degli elettori.
Ma Favia ha idee chiare anche per lo sviluppo del Movimento. E qualcuno potrebbe chiamarla normalizzazione. «Decidere tutto in assemblea è impossibile», dice. «Bisogna essere concreti. Uno uguale uno non può voler dire anarchia. Il caos lo stanno pagando i più seri, quelli che si impegnano di più. Nelle assemblee per metà del tempo si parla di procedure. Così non va. Dobbiamo trovare una soluzione. Certo, senza creare una struttura di partito, ma nemmeno proseguendo con questa disorganizzazione».
Uno dei punti che sarà centrale affrontare nel futuro del movimento, è cosa fare di tutti i temi che non rientrano nelle Cinque Stelle (vedi). Massimo Bugani, consigliere comunale di Bologna aveva sintetizzato così lo stato dell’arte: «In campagna elettorale mi facevano spesso domande sull’immigrazione, anche perché il candidato del centrodestra a Bologna era un leghista. Io dicevo che ai rifugiati di guerra e ai richiedenti asilo: porte aperte. Ben diverso per i clandestini che vengono qui alla ricerca di condizioni migliori che poi in realtà non possono avere. Ma sono argomenti nazionali su cui dobbiamo ancora crescere. E crescere in fretta. Su alcuni temi siamo infatti molto forti, su altri molto acerbi. Siamo forti su mobilità, urbanistica, green economy, tagli agli sprechi, trasparenza, partecipazione allargata. Siamo acerbi su politiche del lavoro, immigrazione e laicità, per esempio. Li discutiamo poco o niente all’interno delle assemblee e quando proviamo a farlo sono temi che dividono. Abbiamo tanti cattolici quanti laici e anche qualche ateo, e su temi come la bioetica non riusciamo proprio a trovare la quadra».
Chi si sta impegnando sul tema della laicità è Pasquale Rinaldi, classe 1981, nato ad Altamura (Bari), salito a Bologna per studiare, «rimasto invischiato per amore» e consigliere (e capogruppo, visto che è solo) del Movimento 5 Stelle nel quartiere Savena. «Lo riconosco», dice, «non c’è grande voglia di parlare di certi temi che escono dalle nostre cinque stelle. Perché dividono, e si aprono discussioni infinite in cui è molto difficile arrivare a una maggioranza condivisa. Io ho lavorato per altre associazioni prima. Ancora adesso sono attivista dell’Uaar, l’Unione atei e agnostici razionalisti, e di Rete Laica Bologna. Credo che questo Paese abbia grossi problemi per l’influenza dei vertici della Chiesa cattolica. Così ho cercato di portare il tema della laicità nel movimento. In tanti erano scettici. Non capivano perché dover parlare di cose di questo tipo. Le vedevano come ideologiche e non concrete. Poi però, dopo qualche insistenza, mi hanno lasciato carta bianca. Alla fine ho elaborato una proposta che è stata votata all’unanimità, a Bologna».
«Ci siamo schierati contro la costruzione di moschee perché rappresentano un nuovo esempio di cementificazione e di consumo di suolo. Ma siamo anche per la libertà di culto, per qualsiasi confessione i cui credenti insistano sul nostro territorio. La soluzione c’è: bloccare la costruzione di nuovi edifici di culto e incentivare la condivisione di quelli esistenti. Oggi sempre meno cittadini frequentano le chiese cattoliche. L’utenza diminuisce, insomma, mentre aumenta fortemente la richiesta di luoghi si culto per il credo musulmano. Quindi, la nostra idea è arrivare alla condivisione dei luoghi di culto, il che favorirebbe anche la tolleranza, perché dovendo stare negli stessi luoghi le persone dovrebbero per forza conoscersi. È un tentativo nuovo, non facile da spiegare e da comunicare, ma a mio avviso del tutto legittimo, considerato che molti edifici sacri non sono nemmeno proprietà del Vaticano ma dello Stato italiano. Ad esempio, da noi a Savena, la chiesa del Corpus Domini. Quando parlo di questo progetto all’inizio tutti sono sempre un po’ scettici, anche nel movimento, ma poi capiscono che è una scelta di buon senso. In Svizzera già lo fanno, me l’ha detto un mio amico che vive lì. E poi ho approfondito su internet. Il Pd vuole spendere soldi, dare da lavorare alle cooperative per costruire le moschee. Noi invece diciamo: destiniamo alcuni giorni il luogo di culto ai cattolici e, in altri giorni, copriamo con dei teli gli idoli della religione cristiana e consegniamolo ai musulmani».
Rinaldi, che ha proposto anche di aumentare le sale per i matrimoni civili racconta come si è avvicinato al gruppo dei grillini: «È successo il 28 giugno del 2010. Sono andato a un’assemblea aperta. Ho potuto vedere cosa proponevano e mi hanno subito coinvolto. Ho trovato il movimento molto aperto rispetto al merito. Dopo qualche settimana, direi tre, mi hanno chiesto di diventare referente del gruppo scuola. No, non sono insegnante. Lavoro come impiegato. Per la scuola ho una passione personale perché non mi ci sono mai trovato bene. Ho sempre avuto brutti rapporti con i professori. Comunque i temi di cui ci occupiamo qui sono soprattutto scuole dell’infanzia, asili nido e un po’ la primaria, e quindi non serve una forte preparazione specifica».
«La cosa che mi è piaciuta di più è come abbiamo lavorato sul programma, in modo condiviso. È molto affascinante per un cittadino comune. A livello nazionale sarà problematico da replicare. Viene a mancare il territorio. Già le regionali hanno posto più problemi rispetto alle comunali. Bisogna vedersi, parlarsi. Noi ci rifacciamo alla rete, usiamo molto blog e chat e i video ci permettono di far uscire le notizie, ma secondo me serve ancora il confronto diretto. C’è ancora bisogno di vedersi in faccia, di trovarci, di riunirsi».
«Prima delle elezioni c’era più democrazia nel movimento, e tutto veniva deciso in assemblea. Dopo, meno, perché gli eletti sono responsabili e non per tutto devono sentire la base. Comunque è solo perché ci stiamo organizzando. Presto saremo rodati, sarà tutto a posto, e allora saremo radicalmente democratici».
E a riprova della democraticità, Rinaldi cita il brevissimo lasso di tempo tra la prima riunione a cui partecipò e la sua elezione: «All’inizio della campagna elettorale mi hanno chiesto di entrare in lista per il Comune. Ma io non mi sentivo pronto. Volevo partire dal basso e ho accettato solo di candidarmi nel mio quartiere, Savena. E sono stato entrato in consiglio. Insomma, dal mio ingresso nel movimento al primo seggio sono passati dieci mesi. Sbalorditivo, no?»
Giovanni Fàvia è nato il 20 febbraio 1981 a Bologna. Si definisce un «libero professionista “congelato”». È consigliere regionale dell’Emilia Romagna. Di sé e di Grillo dice: «La mia è una storia come tante altre. Mi sono avvicinato al mondo di Beppe nel 2007. Ho trovato per caso un evento del MeetUp e sono andato a una riunione. La prima tentazione è stata di scappare. Mi sembravano dei matti. Poi quella sera sono rimasto per via di una ragazza che era lì e mi piaceva. Dalla seconda sera, invece, mi sono appassionato alla politica. Il mio rapporto personale con Beppe è molto bello. Non ci sentiamo troppo spesso, ma gli sarò sempre grato. Mi ha permesso di svolgere l’esperienza più bella della mia vita. Lui non vuole fare attività politica, vuole muovere le coscienze».
Pasquale Rinaldi è nato il 1° marzo 1981 ad Altamura (Bari) ed è rimasto a Bologna dopo gli studi universitari. Impiegato, è consigliere nel quartiere Savena. Di sé e di Grillo dice: «Beppe non è un leader. È il nostro garante. Ha l’onere di farci rappresentanza nei mass media e di farci rispettare le regole del Non statuto. L’ho incontrato 3/4 volte. Ho grandissima stima in lui e nel suo collega Casaleggio. Parla male di loro solo chi non li conosce. La cosa che mi indigna di più in Italia è la mancanza di democrazia. Sono entrato nel Movimento proprio perché avevo bisogno di esprimermi e di espormi, e qui mi si chiedeva di farlo sempre di più. Non puoi stare in ombra. Non puoi delegare agli altri».