Crisi delle democrazie occidentali, incapacità di governare, scelta dei tecnici super partes. Per Piero Ignazi, politologo, docente di politica comparata all’Università degli Studi Alma Mater di Bologna ed editorialista per l’Espresso, sono espressione della difficoltà dei partiti «di esplicare il loro ruolo, ossia di scegliere la classe dirigente» e di adattarsi a « una società liquida» con nuovi schemi. Quanto al bipolarismo, il professor Ignazi è convinto che non sia finito, anzi «è entrato ormai nella pelle degli italiani», mentre «è ancora presto per dire che l’Italia del populismo che odia o ama, anzi venera il capo, ha voltato pagina».
Il governo Monti può essere un’opportunità per ricostruire la politica?
È una soluzione temporanea dovuta allo stallo che esiste in Parlamento tra due fronti dello stesso peso in contrapposizione. Si è deciso per un governo super partes a forte caratura tecnico-economica. Se mi chiede quale impatto avrà sui partiti, potrebbe produrre una deradicalizzazione del conflitto. Ma è solo un’ipotesi.
A destra si parla di «sospensione democratica». Secondo lei ha senso?
A destra si è sempre avuta molta fantasia nell’inventare prassi costituzionali. Questo governo è entrato in carica con la fiducia del Parlamento, succede in tutte le democrazie parlamentari. Non c’era un governo in grado di avere un’ampia fiducia e si è scelto il governo dei migliori. Il governo dei migliori è sempre una forzatura, perché viene meno la capacità da parte dei partiti di esprimere i propri migliori candidati. Dimostra la difficoltà dei partiti di esplicare il loro ruolo, ossia di scegliere la classe dirigente.
Con l’emergere del Terzo polo si può dire che il bipolarismo in Italia è fallito?
No, non è finito. Il bipolarismo ha consentito l’alternanza di governo e quindi è riuscito. Per quanto riguarda il Terzo polo vedremo come si comporta alle elezioni, per ora è un’espressione marginale. Da solo non va da nessuna parte. La situazione potrà evolvere verso un meccanismo simile a quello che c’è stato per tanti anni in Germania con un partito di centro prima alleato con uno e poi con altro polo o con un’alleanza più larga a sinistra e forse anche a destra. Il bipolarismo è entrato ormai nella pelle degli italiani e in un modo o nell’altro il fronte destra e sinistra comprende anche i partiti centrali.
Destra e sinistra. Sono categorie che valgono ancora?
Valgono ora e varranno in futuro. Lo schema destra e sinistra è usato da tutti gli elettori per semplificare e scegliere.
Lei ha scritto che la borghesia per quindici anni si è riparata «sotto l’ala di un palazzinaro disinvolto che prometteva di tutto, in un rapporto di mutua convivenza e di scambio-sostegno». Pensa che ora la borghesia italiana abbia il coraggio di comportarsi diversamente?
Questo feeling si è rotto in maniera drammatica. Berlusconi è caduto perché nessuna delle forze sociali che lo ha sostenuto è stata disposta a sostenerlo ancora.
Nel suo libro “La fattoria degli italiani” ha sottolineato come gli italiani amino abbandonarsi all’emotività. « L’Italia del populismo che odia o ama, anzi venera». Anche in politica. Vale anche ora, in un periodo di crisi, dove serve pragmatismo?
È ancora un po’ presto per dire che abbiamo voltato pagina, che siamo diventati pragmatici. Questo è un momento particolare. Certamente Berlusconi non potrà più incarnare la propulsione populista del leader a destra. Non è detto che questo non possa svilupparsi sul fronte della sinistra.
Pensa a Renzi?
No, penso a Grillo e ai grillini. Sono spesso considerati ospiti sconosciuti della politica italiana, ma quando si presentano fanno il botto.
Ritiene che la difficoltà delle democrazie occidentali nasca da partiti ancora organizzati sul modello delle grandi platee di iscritti, le tessere, il controllo dall’alto al basso?
Assolutamente sì, i partiti e tutte le loro anchilosi derivano dal non aver compreso la società postindustriale. Un politologo olandese diceva che i partiti di massa sono figli naturali della società industriale. Oggi siamo in una società liquida, ma i partiti continuano ad applicare schemi vecchi.
Una domanda un po’ provocatoria: il suffragio universale è il sistema più valido per scegliere i governanti?
Sì. Non ce n’è uno migliore. Altrimenti dovremmo optare per la repubblica degli ottimati. E a volte ne possiamo essere affascinati, ma può anche cadere nell’oligarchia.