CITTA’ DEL VATICANO – L’immagine è certo suggestiva. Poco prima che Mario Monti salga al Quirinale, al tempio di Adriano, nel centro di Roma, i politici cattolici di ieri e di oggi si ritrovano, di ottimo umore, all’inaugurazione della mostra Democrazia cristiana per l’Italia unita. Ci sono proprio tutti, Ciriaco de Mita e Arnaldo Forlani, Pier Ferdinando Casini, Rosy Bindi e Beppe Pisanu. Spunta, tra gli applausi, Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio dal 1968 e da poche ore ministro della Repubblica. Sorride, stringe mani, si siede, ma si deve presto rialzare perché gli squilla il cellulare: “Eminenza!”, e si allontana da orecchie indiscrete per informare l’eminente interlocutore di cosa sta accadendo tra Quirinale e Palazzo Chigi. E’ la nemesi storica? La morte del berlusconismo e la risurrezione della Dc?
Il nuovo esecutivo, certo, ha un robusto innesto cattolico. Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano – leale a Berlusconi fino all’ultimo, e fino all’ultimo sospettoso di un esecutivo Monti troppo legato al mondo laico delle banche – ha repentinamente augurato buon lavoro ad un governo rappresentato da “una bella squadra”. Il manifesto ha potuto titolare sui “banchieri di Dio” e l’Unione atei e agnostici razionalisti ha potuto ironizzare sul primo governo Bagnasco. Eppure la vicenda non è così lineare. Lo dimostra la biografia e la collocazione dei vari ministri cattolici. Nonché la loro sapiente dislocazione nella foto di gruppo del Salone delle feste del Quirinale.
Accanto a Giorgio Napolitano sorride ai fotografi Andrea Riccardi. Sarà pure un ministro senza portafoglio (a lui la delega su integrazione e cooperazione internazionale), ma sta lì piedi in prima fila tra il Capo dello Stato e la ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. A soli 61 anni, è già un’icona del catto-progressismo. Fondatore della comunità di Sant’Egidio, storico del cristianesimo, molto vicino a Papa Wojtyla, tira da anni le fila di una diplomazia parallela rispetto alla sempre più bolsa rete di nunzi apostolici della Santa Sede, capace di operare concretamente con iniziative risolutive di peace-keeping e protocolli sanitari anti-aids. La sua comunità, soprannominata dagli entusiasti “le piccole Nazioni Unite di Trastevere”, fanno ormai da contrappunto al Vaticano di Ratzinger.
Il Papa strappa con islam ed ebrei, Sant’Egidio ricuce. Benedetto XVI archivia l’epoca Wojtyla, Riccardi manda alle stampe la prima biografia del Pontefice polacco. Ratzinger temporeggia sulle primavere arabe, e i santegidini, mesi prima che cada Gheddafi, portano a Roma gli esponenti del Consiglio libico di transizione. Ciononostante – ed è una conferma del suo fiuto diplomatico – Riccardi è in ottimi rapporti con Papa Ratzinger, con il Segretario di Stato Bertone e con la Conferenza episcopale italiana. Tanto che la Cei lo aveva individuato da tempo come uno dei due “cavalli di razza” da lanciare nell’arena pubblica per dar seguito all’appello più volte pronunciato dal Papa per una “nuova generazione di cattolici in politica”.
L’altra “riserva della Repubblica” della Chiesa cattolica è Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica – ateneo egemonizzato da Comunione e liberazione – e uomo molto vicino tanto al presidente della Cei Angelo Bagnasco quanto al suo predecessore Camillo Ruini. Eppure a lui Mario Monti non ha riservato né il ministero della Salute, né quello della Pubblica istruzione, né un dicastero economico, che pure sarebbero stati molto graditi all’episcopato italiano in quanto si tratte delle caselle governative che ricalcano i “valori non negoziabili” indicati da Joseph Ratzinger (vita, educazione, famiglia). Ornaghi sarà il prossimo ministro dei Beni culturali. Alla cerimonia al Quirinale, a braccia conserte, si è trovato all’estremo della seconda fila, un po’ in disparte. La Pubblica istruzione è andata a Francesco Profumo, anch’egli un cattolico, ma meno in linea con le indicazioni di Oltretevere.
Il ministero della Salute è andato, invece, ad un altro cattolico, ma poco amato dalle gerarchie ecclesiastiche: Renato Balduzzi, ex presidente degli intellettuali di Azione cattolica, è stato il giurista che per Rosy Bindi ha scritto con la collega di governo Barbara Pollastrini il progetto di legge sui Dico che tanta parte ha avuto nello scontro tra la compagine guidata da Romano Prodi e la Cei del cardinale Ruini. Cattolici, ma sempre lontani dalle mainstrem ecclesiali, sono, oltre allo stesso Mario Monti, la Guardasigilli Paola Severino, il ministro per i Rapporti col Parlamento Pietro Giarda, il responsabile dell’ambiente Corrado Clini e quello per il Turismo e lo sport Piero Gnudi.
Banchiere cattolico, e che banchiere, è poi il neoministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera. Nel mondo Cei si è segnalato aderendo con generosità al progetto ideato da vescovi e Associazione bancaria italiana per un fondo a favore delle famiglie povere. Lo scorso 17 ottobre, poi, Passera, come Ornaghi e Riccardi, era a Todi, dove si è svolto l’incontro delle associazioni cattoliche impegnate nel mondo del lavoro. Se l’operazione era nata per mettere un’ipoteca sulla fine del berlusconismo, ai todisti, in un mese esatto di tempo, non poteva andare meglio.
Proprio a Todi, però, è andato in scena un inconsueto scontro frontale che, ancorché nei toni felpati della Curia, ha avuto per protagonista il cardinale Angelo Bagnasco. È ormai dall’avallo ricevuto quest’estate direttamente dal Papa che l’arcivescovo di Genova ha preso in mano l’iniziativa della Chiesa nell’attuale frangente politico, indisponendo non poco il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Di prima mattina, quel 17 ottobre, il presidente della Cei legge sulla prima pagina del Corriere della sera un editoriale del direttore Ferruccio de Bortoli che un po’ blandisce e un po’ provoca la Chiesa cattolica. Il direttore del quotidiano di via Solferino auspica la riscoperta di «un tratto più marcatamente conciliare dopo l’era combattiva e di palazzo di Ruini» e di «una missione sociale, in questi anni poco valorizzata, mentre in questi anni si è insistito tanto sulla difesa dei valori cosiddetti non negoziabili, dal diritto alla vita alle questioni bioetiche, al punto di estendere l’incomunicabilità con le posizioni laiche all’insieme delle questioni civili ed economiche». Bagnasco evidentemente non gradisce.
Rimette mano alla sua prolusione. E quando prende la parola a Todi – nel pubblico c’è anche De Bortoli – spiega che per la Chiesa la priorità sono questioni come vita, famiglia, libertà educativa. «A volte – scandisce – si sente affermare che di questi valori non bisognerebbe parlare perché ‘divisivi’ e quindi inopportuni e scorretti, mentre quelli riguardanti l’etica sociale avrebbero una capacità unitiva generale». Ma «è possibile perseguire il bene comune tralasciandone il fondamento stabile, orientativo e garante?». Per Bagnasco, evidentemente no.
Concetti che Bagnasco ribadirà oggi in un convegno ospitato dall’associazione Scienza e vita con tutti i maggiori leader politici, Angelino Alfano, Pierluigi Bersani, Pierferdinando Casini e Roberto Maroni. E concetti che, nei giorni di formazione del governo, ha discretamente fatto arrivare alle orecchie di Giorgio Napolitano e Mario Monti. Ma quel che ne ha ricavato è troppo poco, rispetto alle aspettative iniziali. Altro che egemonia cattolica sul governo, altro che il controllo dei ministeri-chiave dei principi non negoziabili. Su questi temi, al più, i vertici ecclesiastici potranno esercitare un non indifferente potere di interdizione, da negoziare però volta per volta. Per il resto, a Palazzo Chigi c’è un governo di elite con diversi cattolici adulti, forse troppo.
Forse è per questo che il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, solo l’altroieri ha ammesso sconsolato l’impreparazione dell’episcopato italiano di fronte ad un’Europa che ha sempre più peso nella vita degli italiani: «Siamo costretti a prendere atto di misure che presentano rilievo sia su temi di natura giuridica ed economica per quanto attiene la gestione delle nostre strutture e istituzioni, sia su temi di carattere culturale, religioso, etico e bioetico. Lentamente, e talora inavvertitamente o con avvertenza tardiva, vediamo intaccato e modificato il panorama giuridico e culturale entro il quale siamo stati abituati ad operare e, prima ancora, a pensare». Altro che risurrezione della Dc.