L’avevano descritto come un tecnocrate, il capo di un governo di “secchioni”. Noioso, algido, a tratti inumano. «Se Mario Monti si taglia un dito – rivelava ieri il senatore Pdl Giampiero Cantoni a Repubblica – il sangue non gli esce». Troppo freddo. La transizione da Silvio Berlusconi al nuovo governo? «Come passare dal Carnevale alla Quaresima». Avevano raccontato il presidente del Consiglio come un robot. Un “cyber-premier”, stando alla descrizione de La Stampa, colpita dalla lunga presenza di Monti ieri al Senato.
E invece no. Questa mattina l’intervento di Monti alla Camera dimostra che si sbagliavano quasi tutti. Perché forse il premier non sarà un comico. Uno dalla risata contagiosa. Ma sicuramente non è quella statua di marmo che dicono. La replica alla discussione generale di Montecitorio svela un altro personaggio. Affabile, cortese, umile. In alcuni passaggi quasi simpatico. «Secondo me è semplicemente un gran paravento (il termine originale è un altro, ndr)» commenta a caldo un osservatore alla Camera. «Monti ha capito che rischiava di essere troppo distante dagli italiani e si è fatto preparare l’intervento nei dettagli. Per risultare più umano».
Solo una furberia? Probabilmente non è così. Mario Monti sta lentamente imparando le regole della politica. I quattro ringraziamenti pubblici che rivolge durante il suo discorso non sono casuali. Un capolavoro di democristianità. Prima il saluto al presidente Gianfranco Fini per ingraziarsi i deputati del Terzo polo. Poi i riferimenti a Napolitano e Berlusconi che entusiasmano i rappresentanti di Pd e Pdl. Infine l’omaggio a Gianni Letta, seduto nella tribuna riservata al pubblico – l’ex sottosegretario non è mai voluto diventare parlamentare – che scatena la standing ovation di tutta l’Aula.
Per carità, come politico Monti deve ancora fare esperienza. Nessuno, al suo posto, avrebbe ammesso con candore che presto arriveranno «decisioni non facili e non gradevoli». Ma il premier è sulla buona strada. Parlando alla Camera a un certo punto riesce persino a strappare qualche risata – piuttosto sommessa a dire la verità – ai presenti. «Non userei il termine staccare la spina – spiega parlando dei prossimi voti di fiducia in Parlamento – Noi non ci consideriamo un elettrodomestico. In quel caso saremmo incerti se essere un rasoio o un polmone artificiale». Durante la discussione generale qualcuno si era rivolto a lui chiamandolo “Professore”. Monti ironizza: «Vi prego non chiamatemi presidente del Consiglio, continuate a chiamarmi professore». E citando Spadolini: «I presidenti passano, i professori restano».
Altro che Cyber-premier. Monti parla a braccio, aiutandosi di tanto in tanto con alcuni fogli scritti che ha sul tavolo. A volte è costretto a interrompersi, non gli viene in mente la parola giusta. Racconta particolari della sua vita privata. Come quando ricorda il padre, nato in Argentina da genitori emigrati. «Sento molto il tema degli italiani all’estero». Sui giornali di questi giorni qualcuno si era lamentato della sua supponenza. Il Monti che interviene a Montecitorio non è la stessa persona. Parla di «umiltà», si definisce senza imbarazzi un «novizio».
Risponde in maniera dura ma ironica a chi lo dipinge come il rappresentante dei poteri forti. «In Italia i poteri forti non ci sono. Sono all’estero e io ho avuto il modo di vederli quasi tutti nella mia funzione di commissario alla concorrenza dell’Ue. Quando ho proibito una fusione tra due grandissime società americane l’Economist mi ha descritto come il Saddam Hussein del business».
Ma il colpo di teatro è un altro. La frase che fa venire giù dagli applausi la Camera dei deputati è, forse, l’unico passaggio non improvvisato del discorso. «Mi indigna – Monti difende il Palazzo – la troppa facilità con cui spesso la società civile punta il dito contro la classe politica». Sarà pure un tecnocrate, ma questo è un colpo da politico consumato.