Il partito del voto immediato perde pezzi

Il partito del voto immediato perde pezzi

Contro tutto e tutti. Contro le opposizioni, il capo dello Stato e parte dei suoi uomini, il premier Silvio Berlusconi vuole andare al voto. Contro i mercati. Ha promesso al Quirinale che si dimetterà dopo l’approvazione della legge di Stabilità. Ma ha specificato: dopo ci sono solo le elezioni. A gennaio. Inizio febbraio al massimo. In queste ore, durante le riunioni che si susseguono a Palazzo Grazioli, una parte dei fedelissimi sta cercando di farlo desistere. In molti, compresi alcuni ministri di questo governo, sono ormai in aperto disaccordo con il premier. Sono convinti che la risposta necessaria alla crisi sia un governo di transizione. Per il bene dell’Italia, sotto l’attacco della speculazione finanziaria. Ma anche del centrodestra, che in caso di voto anticipato rischia una sonora sconfitta. Il premier, per un attimo nella notte di ieri, aveva addirittura accarezzato l’ipotesi più ardita: andare al voto a gennaio, candidando Alfano ma arrivandoci da premier in carica. Ipotesi che oggi i mercati hanno bocciato senza appello e spinto Napolitano a ribadire, con una seconda nota, quanto già detto ieri: «Le dimissioni del premier sono certe, poi si aprono la strada di un nuovo governo, o del voto».

La posizione del premier sta mettendo in difficoltà anche il Quirinale. Grazie all’accordo con le opposizioni la legge di Stabilità sarà approvata definitivamente domenica prossima. Da lunedì inizieranno le consultazioni di Giorgio Napolitano. Ma è chiaro che se il Cavaliere continua a puntare i piedi la nascita di un governo di transizione diventa difficile. Anche il Colle preferisce evitare le urne. Meglio un esecutivo breve – in carica anche 3-6 mesi – per approvare le riforme più urgenti. Da questo punto di vista il nome in cima alla lista di Napolitano resta quello di Giuliano Amato, mentre Mario Monti non potrebbe accettare la poltrona di ministro dell’Economia in un governo guidato da altri.

Il capo dello Stato confida che una parte non irrilevante del Pdl possa smarcarsi da Berlusconi e appoggiare un nuovo esecutivo. Alla Camera c’è chi giura che i nuovi “traditori” del Cavaliere siano già in cinquanta. Il fronte di chi è disposto a votare un nuovo governo sembra effettivamente in crescita. Ci sono i deputati fedeli a Claudio Scajola, gli uomini del sottosegretario Gianfranco Miccichè. Persino alcuni fedelissimi come il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi. E ancora i malpancisti che si sono incontrati all’hotel Hassler prima dell’ultimo incidente parlamentare (Giustina Destro, Fabio Gava, Roberto Antonione). Si vocifera che buona parte degli ex An sarebbe disposta ad aprire a un nuovo esecutivo, allargato anche al Terzo polo. Sicuramente fanno parte del fronte gli ex finiani rientrati in maggioranza, guidati da Adolfo Urso.

E poi tantissimi peones. I deputati alla prima legislatura che se non rimarranno in carica fino al 2013 perderanno il diritto al vitalizio. Non tutti si espongono, ancora. Ma dietro la certezza dell’anonimato qualcuno lo ammette. «La verità – racconta uno di loro – è che tra di noi sono in pochi a volere le elezioni anticipate. Gran parte del gruppo Pdl sosterrà un governo di larghe intese. Meglio se a guida di un esponente del centrodestra. Ma andrebbe bene anche un tecnico».
Si contano i numeri per formare un gruppo alla Camera. Quello dei nuovi responsabili: i berlusconiani disposti alle larghe intese. Davanti a questa ipotesi, però, non tutti sono d’accordo. È il caso di Scajola, deciso a rimanere nel Pdl. Raccontano che il Cavaliere avrebbe ancora un grande ascendente nei suoi confronti. E proprio in queste ore avrebbe esercitato una pressione diretta per farlo rientrare nei ranghi. Così si capisce anche meglio una dichiarazione delle 18, in cui Scajola invita tutti a ripartire dalla maggioranza del 2008. Quasi non si sapesse che quella maggioranza non c’è più. Ad ogni buon conto, l’ex ministro ribadisce che non è il caso di andare a votare subito. 

Sulla strada verso il governo tecnico resta un’incognita. Il Senato. Al contrario dei colleghi della Camera, i berlusconiani di Palazzo Madama non sembrano disposti a tradire il premier. Escluse le defezioni di Beppe Pisanu e pochi, pochissimi altri, il Pdl rimane per ora fedele alle direttive di partito. Quindi, contrario a qualsiasi ipotesi di governo di transizione. «Inutile fare tanti conti – racconta un senatore Pdl – qui il governo tecnico non ha nessuna maggioranza. Siamo convinti e compatti». I peones in cerca del vitalizio ci sono anche qui. Sono circa una trentina. Ma assicurano che anche loro sono pronti alle urne. «Per noi l’unica strada dopo Berlusconi restano le elezioni – continua il senatore – Solo una cosa potrebbe farci desistere: un altro governo Berlusconi. Il Cavaliere si è dimesso, ma la Costituzione prevede che il capo dello Stato possa dargli un nuovo incarico».  

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter