Risultati migliori del previsto, mentre la stretta creditizia avvita dalla banca c’è e si vede. Intesa Sanpaolo batte così le stime sui conti relativi ai primi nove mesi del 2011, nonostante un terzo trimestre in decisa contrazione rispetto al secondo trimestre dell’anno.
L’utile netto si assesta a 1.929 milioni di euro (-12,3% rispetto ai 2.200 del 30 settembre 2010) – il consensus era fermo a quota 1.497 milioni – e a 527 milioni nel terzo trimestre (-28,9% sui 741 milioni del secondo trimestre e consensus pari a 351 milioni). La composizione di questo risultato, che deriva da imposte a credito per 894 milioni di euro, oneri derivanti dal piano di 5mila esuberi per 483 milioni, più ulteriori 100 milioni di euro di altri oneri – emerge la difficile situazione del trimestre, rende l’idea di un’estate piuttosto burrascosa per Ca de’ Sass. «Al netto delle principali componenti non ricorrenti, l’utile netto consolidato normalizzato nel terzo trimestre è di 448 milioni (-15,3% sul II trim.), mentre nei primi nove mesi è di 1.739 milioni (-5,6% trim. su trim.)», si legge ancora sulla nota diramata da Ca de’ Sass al giro di boa della seduta borsistica.
Gli altri numeri significativi riguardano il patrimonio di qualità (Tier 1) al 10,2% e disponibilità liquide per 83 miliardi. Le attività di negoziazione, nonostante una perdita di 74 milioni (di cui 22 milioni nel portafoglio “available for sale”) da giugno a settembre scorso, mentre sui nove mesi del 2011 i numeri sono positivi per 747 milioni di euro, rispetto ai 340 milioni al 30 settembre 2010. Tuttavia, continua il comunicato, «Senza la riclassificazione Ias in anni passati di attività finanziarie detenute ai fini di negoziazione a finanziamenti e crediti e ad attività finanziarie disponibili per la vendita, si sarebbe registrato un impatto negativo ante imposte sul risultato dell’attività di negoziazione dei primi nove mesi del 2011 pari a 195 milioni». Al 30 settembre, inoltre, le riserve da valutazione sono passate da un rosso di 1,054 miliardi di euro a -2,8 miliardi, perdite che secondo i principi contabili Ias non influiscono però nel conteggio dell’utile ma nel patrimonio netto. Per quanto riguarda, invece, le attività detenute a scadenza, il saldo al 30 settembre è positivo «per 40 milioni di euro comprendenti un apporto positivo di 146 milioni per la cessione di sportelli a Crédit Agricole e uno negativo di 132 milioni per l’impairment (che ha portato a una svalutazione) sulla partecipazione detenuta in Telco, rispetto agli 11 milioni dei primi nove mesi del 2010».
Sul fronte critico dell’esposizione al debito sovrano, sottolineato con una lettera dall’Associazione piccoli azionisti, al 30 settembre la banca guidata da Corrado Passera deteneva 593 milioni di euro di titoli ellenici, dopo una svalutazione pari al 45% del valore nominale e del 55% del valore di libro prima delle rettifiche, 251 milioni di bond irlandesi e 45 milioni di titoli portoghesi. Come già preannunciato lo scorso agosto, Intesa è esposta nei confronti del debito pubblico italiano per 63,39 miliardi di euro, in linea con i 64,47 miliardi del 30 giugno scorso. Numeri che non cambieranno, come ha sottolineato Passera nel corso della conference call: «Continueremo a investire gran parte della nostra liquidità in titoli di Stato italiani, non cambiamo la nostra politica».
Il dato però che più stupisce riguarda i crediti verso la clientela, che come recita la nota «raggiungono i 381 miliardi di euro, in aumento dello 0,8% rispetto al 30 settembre 2010 (del 2,1% se si considerano i volumi medi anziché quelli di fine periodo) e dello 0,6% rispetto al dicembre 2010, a seguito di una riduzione dei crediti alle grandi e grandissime imprese e di un aumento di quelli alle piccole e medie imprese». Sostanzialmente, le erogazioni della principale banca votata al territorio in Italia in poco meno di un anno non si sono mosse, un po’ come il Pil nazionale, +0,3% nel terzo trimestre.
Le tensioni sul mercato interbancario non hanno lasciato alle banche altra scelta se non ricorrere alla Bce – che da luglio però chiede l’impegno dei titoli di Stato detenuti dagli istituti di credito a garanzia dei prestiti – per reperire liquidità. Rinunciando al ghiotto flusso cedolare dei bond e pagando tassi più elevati rispetto al mercato. Secondo i numeri rivelati oggi nel corso della conference call, al 30 settembre scorso Intesa aveva raccolto 20 miliardi di euro presso l’istituto centrale di Francoforte, scesi a 18,5 miliardi lo scorso 7 novembre.
Secondo alcune testimonianze raccolte da Linkiesta, per un mutuo ipotecario a 10 anni erogato dal Mediocredito, Ca de’ Sass calcola un tasso del 6%, parametrato quindi a quello dei Btp, al netto dell’Euribor (1,22%), cioè il tasso interbancario, più il tasso d’interesse Bce (1,25%) e alle commissioni di servizio (0,5%). Il tutto va sommato all’ulteriore interesse di copertura dal rischio di default dell’impresa (da 0,5% a 3% a seconda del rating). Il risultato è che si arriva facilmente a una base di costo dell’8% a prescindere da quanto solido sia il rating e le prospettive di crescita dell’istituto in questione.
La “mancanza di visibilità” sui mercati, come viene definita dagli esperti l’attuale altalena dei corsi azionari, non offre grandi margini di manovra. Per questo, l’ordine dato ai direttori di filiale è di “gestire l’esistente”, cioè le erogazioni in essere, mantenendo i tassi alti. Se la liquidità è la risorsa scarsa sui mercati, e se i regolatori chiedono che quest’ultima superi gli impieghi, per le banche riuscire ad effettuare accantonamenti nel fondo marginale, non potendo utilizzare la raccolta presso la clientela per finanziare mutui, leasing o fidi, è piuttosto complesso. L’unica soluzione all’orizzonte, dunque, è alzare la posta. Non importa se si tratta di lungo o breve termine: lo spread sulle operazioni di anticipo fattura, quindi a 60 o 90 giorni, è salito a 400 punti base: prima era riferito al tasso Euribor più uno spread dello 0,5%, oggi si arriva al 2,5 per cento. Risultato? Le Pmi rinunciano in partenza.
Guardando gli ultimi dati, il complesso dei crediti deteriorati della banca presieduta da Giovanni Bazoli, al 30 settembre, è salito a 22,2 miliardi di euro (+4,6% sui 21,2 miliardi al 31 dicembre 2010): di questi, le sofferenze raggiungono gli 8,3 milioni di euro (dai 7.3 milioni del 31 dicembre 2010) con un’incidenza sui crediti complessivi pari al 2,2% (2% al 31 dicembre 2010), così come gli incagli, a quota 9,2 miliardi di euro, da 8,9 miliardi di dicembre 2010. In Piazza Affari, il titolo della banca (che ha chiuso a +3,54% dopo essere stato a lungo il migliore del Ftse Mib) capitalizza 17,9 miliardi, e ha perso quasi metà del suo valore rispetto a novembre 2010, proprio a causa dei titoli di Stato nel suo portafoglio. Gli stessi su cui Corrado Passera sta continuando a puntare.