L’Italia chiama e la politica si fa da parte. Il passo indietro è stato compiuto. E non da Silvio Berlusconi – in queste ore il premier sta cercando di rientrare nella partita – ma dall’intera classe politica. Il Paese è sul baratro? Salvo poche eccezioni i partiti puntano decisi sul governo tecnico. Il presidente della Repubblica sembra essere d’accordo. Per Palazzo Chigi Napolitano ha già scelto Mario Monti. E lui, il premier in pectore, ha specificato che al suo fianco non vuole politici. Pochi ministri e tutti esterni al Palazzo. Il ragionamento sarebbe anche condivisibile: nel momento del bisogno non c’è tempo per le infinite giravolte dei nostri parlamentari. Per i ricatti, le strategie, i trucchi e i giri di poltrone. Il bello è che molti esponenti di Pd, Pdl e Terzo polo concordano con la tesi del Quirinale e di Monti: l’Italia è in pericolo, c’è bisogno di tecnici. Un paradosso. È la politica che rinuncia alla politica.
«Data la situazione di emergenza, al posto di Monti io farei un governo di soli tecnici» ammette candidamente Giuseppe Pisanu. Un esecutivo che sia in grado di dare all’Europa le risposte che attende. Che approvi poche riforme ben chiare. E che, possibilmente, non duri troppo tempo. Il mondo della politica ha preso coscienza del proprio fallimento? Tutt’altro. I partiti si fanno da parte per opportunismo. Il senso dello Stato non c’entra. L’obiettivo è quello di non sporcarsi troppo le mani ed evitare pericolose scissioni.
Un governo con la presenza dei principali partiti è utopia. Come hanno iniziato a circolare le prime ipotesi sulla composizione del governo Monti, sono iniziati i veti incrociati tra Pd e Pdl. Bersani avrebbe proposto di ricorrere al governo tecnico proprio per evitare che Berlusconi potesse «imporre nomi indigeribili». E poi ci sono le divisioni interne. Il toto-ministri di questi giorni ha creato imbarazzi e scontenti all’interno degli stessi fronti. Basta pensare al caso del Pd Pietro Ichino. Nel Pdl è andata ancora peggio, a un giorno dalle consultazioni al Quirinale il partito è ancora diviso – per non dire spaccato – tra chi vuole partecipare al governo Monti, chi propone l’appoggio esterno e chi chiede le elezioni anticipate.
Nelle segreterie politiche c’è preoccupazione. Anzi, paura della prossima campagna elettorale. Nel Palazzo si discute anche di questo. Appoggiare apertamente un governo che ha il dovere di imporre decisioni impopolari, costa. Soprattuto in termini di consenso elettorale. Perché solo alcuni si devono prendere questo rischio? Italia dei Valori e Lega Nord hanno assicurato che voteranno contro la fiducia. I loro alleati, Pd e Pdl, sudano freddo. Nessuno ha voglia di vedere i propri colleghi di coalizione crescere troppo. Magari a proprio discapito. Così iniziano gli avvertimenti e le minacce. Tra Pd e Idv ormai è guerra aperta. «Se l’Idv non condivide la scelta di sostenere un governo di emergenza – chiarisce il capogruppo democrat Dario Franceschini – farebbe venir meno la possibilità di un’alleanza con noi. E una nuova legge elettorale che liberi tutti dal vincolo forzoso ad allearsi lo renderebbe semplice». Nel centrodestra non si è ancora arrivati all’ultimatum. Ma solo perché i rapporti di forza tra gli alleati sono più equilibrati.
E allora la politica saluta con favore un governo di tecnici. Un esecutivo «che salvi il Paese ma lasci intatte le differenze che esistono nell’emiciclo» spiega il numero due del Pdl al Senato Gaetano Quagliariello. Perché va bene che l’Italia rischia il default, «ma non sacrificheremo le differenze con la sinistra su temi come giustizia, legge elettorale, principi non negoziabili». Il governo sia tecnico, ma non troppo invadente. «Chiediamo che i ministri non siano politici – continua Quagliariello – e che limitino il loro intervento alle misure Ue, lasciando alla base parlamentare la possibilità di discutere e deliberare su tutto il resto». Una scelta che finalmente metterebbe d’accordo maggioranza e opposizione: «Se non ci saranno politici – sintetizza il leader Udc Pierferdinando Casini – l’appoggio politico sarà da parte di tutti». Massimo D’Alema è ancora più chiaro: «Il nuovo governo si può fare in poche ore. Naturalmente bisogna davvero che tutti i partiti facciano un passo indietro e che nessuno si metta ad avanzare pretese per i posti».
L’unica voce fuori dal coro è quella di Berlusconi. Posizione anomala all’interno dell’universo politico. Ma il Cavaliere in fondo non è un politico di professione, come ama ripetere. Dopo l’iniziale scoramento il premier sta cercando di capire come rientrare in partita. In queste ore ha convocato un vertice con i big del partito per decidere la strategia. Le indiscrezioni che trapelano da Palazzo Grazioli raccontano di una nuova linea. Il Pdl ora vorrebbe presentare al capo dello Stato un proprio candidato premier, alternativo a Monti. Si parla di Lamberto Dini, che avrebbe anche l’appoggio della Lega. Ma è tornata in ballo anche la nomina del segretario Angelino Alfano. E Mario Monti? Berlusconi pensa a lui per il posto di ministro dell’Economia.