Una cosa è certa, non ci libereremo presto dall’ossessione Berlusconi. Non sarà domani che i “resistenti” apriranno le finestre e respireranno a pieni polmoni e scenderanno felici in strada. Non sarà domani che si potrà parlare più o meno liberamente senza essere protocollati e archiviati al di là o al di qua della linea di confine, con relative conseguenze. L’Italia e gli italiani vivono dell’ossessione Berlusconi, se ne nutrono da quasi vent’anni, e quindi forse ne occorreranno altrettanti per debellare il virus.
L’ossessione Berlusconi scandisce le giornate degli italiani. E ogni giorno di più. Un Paese intero mediaticamente non vive di altro, come se altro non accadesse. Come se le scuole non funzionassero, gli ospedali non andassero avanti, gli autobus restassero nei depositi (oggi, in effetti, andavano molto a rilento), le aziende non producessero.
Si dimette, non si dimette; sì, si sta dimettendo; no, non è vero. Lo ha scritto Franco Bechis (vicedirettore di Libero ed esimio collega su Twitter). E allora? Lo ha detto Giuliano Ferrara. E allora? Ogni refolo, ogni sussurro, ogni battito di ciglio che parli o alluda a lui assume il rango di notizia. Tutto perché si possa dire: l’ho data io per primo la notizia. La bandiera rossa sul Reichstag l’ho messa io.
Un’ossessione. Che contagia financo il Financial Times. E nel crepuscolo è divertente osservare come i ruoli si siano un po’ ribaltati. Oggi i due giornalisti che hanno provato a essere ricordati sono entrambi di centrodestra, uno addirittura è stato ministro del primo governo Berlusconi. Forse non è un caso. In fondo, la sconfitta porta con sé anche un senso di liberazione, la fine di un’agonia. E tanto vale abbreviare i tempi. Certo, la notizia della resa può arrivare solo dal campo amico. In quello avversario si combatte, si colpisce e si aspetta. Quando la notizia arriverà sarà una liberazione. Grandi feste, hurrà, vessilli, bandiere, manifestazioni. E poi magari qualcuno si chiederà: e adesso che facciamo?
Sembra che non siamo pronti per vivere senza Berlusconi. Abbiamo cambiato tutte le nostre abitudini per lui. Ci siamo interessati allo spread, ne chiediamo tuttora l’andamento come un tempo si chiedevano le condizioni atmosferiche; ci siamo addentrati in un mondo di bunga bunga, olgettine, Noemi, Ruby, bandane, corna fatte in foto, legittimi impedimenti, leggi Cirielli; abbiamo brandito la Costituzione come una spada, spacciato giornalisti per eroi contemporanei, ci siamo vergognati di essere italiani, ci siamo persino appassionati a Scilipoti. Tutto abbiamo fatto pur di non perderci nulla. Abbiamo accettato ogni compromesso. E adesso che siamo ai titoli di coda, siamo tutti lì in prima fila, accalcati, sulle punte dei piedi col collo proteso. E in cuor nostro a chiederci che cosa mai faremo dopo.
Lo so, è un pezzo surreale. Ma sarebbe bello che la notizia fosse annunciata con una riga anonima di un’agenzia di stampa. E che l’iter istituzionale facesse il suo corso, mentre il Paese continua a parlar d’altro. Una giornata sembra avviata alla fine. Quella di domani non sarà meno dura. Tra tweets e status su Facebook. Domani si vota il rendiconto generale dello Stato. Eppure quante cose che stiamo imparando.