Mi plana un appello sulla casella di posta elettronica. Planano sempre molti appelli sulle nostre caselle mail, cosicché tocca anche il lavoro di scrematura. «IMPORTANTE: raccolta firme», strilla il richiamo e già viene voglia di cestino. Ma una vocina di dentro mi dice di fermarmi. È l’appello di un certo Beniamino Saibene, che mi girano da una galleria d’arte amica. L’oggetto è: «Rapida rappacificazione tra il sindaco Pisapia e l’assessore Boeri». Rapida?
L’appello di questo signor Saibene, già direttore del Milano Film Festival e adesso nel direttivo di Esterni, società di eventi culturali (tutte cose che apprendo da Google), è anche un filo struggente, persino epico nello slancio: «La forza di un pensiero politico nuovo e di un popolo unito nello stesso obiettivo hanno reso possibile “la primavera di Milano”…» E ancora: «Una spaccatura tra i due sarebbe devastante sul piano politico e su quello dell’umore e dell’immaginario dei cittadini milanesi. I sottoscritti cittadini si appellano…»
Appelli di questo tenore, ora meno toccanti ora anche più lacrimevoli, si sono moltiplicati a Milano in queste ore, e tutti con l’obiettivo dichiarato di ricucire uno strappo insanabile.
Prima di questa mail – decisiva – non avevo ancora le idee ben chiare su cosa fosse il Pd oggi. Come tutti voi mi dibattevo tra i se, i ma, i forse. Il giovane Saibene (apprendo che è giovane sempre da Google) mi fa da perfetto traduttore simultaneo, traghettatore impeccabile in un mondo incomprensibile, tortuoso, involuto come quello del Partito Democratico. Il quale, sappiamo bene tutti, aveva identificato Boeri come suo candidato sindaco, nonostante la candidatura Pisapia apparisse molto, molto dignitosa e con una qualche consistenza anche all’interno del mondo borghese di Milano. Lo schiaffo delle primarie, dove l’architetto è andato sotto di brutto, non è stato per nulla compensato dalla grande vittoria dell’avvocato.
Vissuto come autentico sfregio nel tabernacolo di un’onnipotenza politica che non esiste più, il Partito Democratico si è assurdamente intestardito nell’imporre Boeri in Giunta. Si sapeva benissimo che sarebbe finita a pomodori in faccia, era nelle cose, lo avrebbe immaginato anche un bambino di quinta, ma quelli del Pd no, gnucchi hanno insistito fino alla rottura di queste ore. C’era diversità su tutto, sull’Expo in primis, mica bagattelle, e ogni giorno portava la sua pena, con Boeri che sembrava fare apposta a sfruculiare il suo bel sindaco. E Cattelan Ambrogino d’Oro (qui, caro Pisapia, aveva ragione l’architetto, ma quando più ci ricapiterà che un artista italiano vivente venga ce-le-bra-to al Guggenheim di New York) e poi il Museo d’Arte Contemporanea, insomma una via l’altra appena per il gusto di contraddire.
Il sindaco Pisapia ha cannato nel farlo assessore. Colpa (politicamente) grave. Pensava di poterlo gestire, ma sbagliava sapendo di sbagliare. Probabilmente lo riteneva un tributo necessario al partito più grande e un doveroso riconoscimento a quei tredicimila cittadini che gli avevano dato la preferenza. Un compromesso che aveva molto poco di razionale. E che inevitabilmente non ha pagato.
Ma ora che la frittata è fatta, e che finalmente chiarezza si staglia all’orizzonte, militanti e appassionati moltiplicano gli appelli perché i due non si dividano. Come se da quella, possibile rottura, un’intera alleanza non dovesse più risollevarsi. Ecco, ora capisco meglio che cos’è il Pd: è il partito della conservazione, della non-scelta, della non-chiarezza! Stare insieme ancora significherebbe prolungare un’agonia, vorrebbe dire guardarsi in cagnesco su ogni iniziativa, diffidare l’uno dell’altro. È questo che vogliono i cittadini milanesi che hanno votato Pisapia (e Boeri)?
È chiaro che ci sarà da patire il giusto. È inevitabile, i grandi errori politici si pagano. Ma anche si risolvono con gesti netti, chiari, limpidi. L’opposizione farà il suo mestiere e cavalcherà (giustamente) questa vicenda desolante. È la democrazia, bellezza.