Quanto ci piace fare affari col cattivo Ahmadinejad

Quanto ci piace fare affari col cattivo Ahmadinejad

All’Italia continuano a piacere gli affari con l’Iran. Nonostante l’embargo deciso dall’Onu nell’estate 2010, il rapporto fra Roma e Teheran rimane fra i più saldi. A tal punto che il nostro Paese è il secondo partner commerciale europeo con lo Stato di Mahmud Ahmadinejad (dopo la Germania) e il quinto a livello globale. Fra i maggiori player nel Paese troviamo Ansaldo, Eni, Edison, Finmeccanica e Fiat. Il tutto senza dimenticare il ruolo, non certo da comprimari, degli istituti di credito italiani.

Nei primi mesi del 2010 l’export italiano verso l’Iran è stato pari a 659 milioni di euro. Di contro, l’import ha registrato valori per 1,3 miliardi di euro. Cifre che, tralasciando una piccola flessione nel 2009, sono sempre aumentate con lo scorrere degli anni. Del resto, scorrendo i dati della Camera di commercio italo-iraniana (Ccii) emerge che dal 2001 al 2007 Roma è stato il primo attore commerciale per l’Iran con, alla fine del 2007, un volume d’affari di circa 6 miliardi di euro. A testimonianza di ciò, troviamo anche le parole del segretario generale della Ccii, Jamshid Haghgoo: «I rapporti fra Teheran e Roma, nonostante l’aumento delle sanzioni internazionali e delle pressioni politiche, sono sempre migliori».

La principale attrattiva dell’Iran è il petrolio. E dove ci sono idrocarburi, c’è Eni. Il colosso energetico sfrutta svariati giacimenti, soprattutto sul Golfo Persico. Fondamentali sono i due South Pars 4 & 5, ma lo è altrettanto il Darquain. Diverso il discorso per i gasdotti, dopo che l’Unione europea aveva contestato alla società guidata da Paolo Scaroni un abuso di posizione dominante. Tuttavia, a inizio febbraio il ministro del Petrolio iraniano, Massoud Mir-Kazemi, ha reso nota l’inaugurazione della seconda parte del giacimento Darkhovin, controllato da Eni. In tal modo la capacità produttiva salirà fino a quota 160mila barili al giorno, dagli attuali 50mila. Un affare da oltre un miliardo di dollari. Inoltre, da Darkhovin si possono estrarre circa 280 milioni di metri cubi di gas naturale.

Sempre sul versante energetico, in Iran è forte anche la presenza di Edison. Già nel 2008 la società di Umberto Quadrino vinse il bando per l’esplorazione dell’area di Dayyer, oltre 8.600 chilometri quadrati nel pieno del Golfo Persico. Ancora, non ci deve dimenticare di Maire Tecnimont. Nel 2007 Abbas Sheri Moqaddam,direttore generale della compagnia petrolchimica Bakhtar, ha commissionato a Tecnimont la costruzione di due raffinerie per oltre 430 milioni di dollari di commesse. Nel complesso però la società italiana ha siglato, secondo i dati della Camera di commercio, accordi nel campo del gas per oltre 220 miliardi di dollari.

Anche Finmeccanica ha degli interessi rilevanti a Teheran. Lunga è infatti la presenza di Ansaldo Energia, presente già dagli anni Ottanta nel Paese. Sono quattro le centrali elettriche progettate per l’Iran, controvalore di 350 milioni di euro, poco rispetto agli altri affari del gruppo. Più importante in senso relativo invece il ruolo di Fata engineering, sempre controllata dalla società di Pier Francesco Guarguaglini, che ha investito più di 300 milioni di euro per l’impianto di Bandar Abbas, dove la produzione di alluminio è il core business.

Non di sola energia vivono i rapporti commerciali fra Roma e Teheran. Anche Fiat è una presenza importante nel Paese. Dopo un’assenza durata 30 anni, il Lingotto è tornato in Iran grazie a Pars industrial development foundation (Pidf), con la quale nel 2005 è stato firmato un accordo di massima, attivato nel 2008 e che a regime è capace di esportare circa 50mila vetture. Ma la questione più spinosa per il costruttore torinese è quella di Case New Holland (Cnh), il brand per le macchine movimento terra. La Securities and exchange commission (Sec), la Consob statunitense, aveva chiesto ragguagli a Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, in merito alla presenza in Iran della controllata del Lingotto. Il timore è che alcuni mezzi potessero essere utilizzati al fine di alimentare la proliferazione di armi nucleari. Nonostante le paure degli americani, Marchionne li tranquillizzò. Del resto attualmente Torino è presente solo nel segmento delle auto a combustione duale, benzina e gpl.

Sul fronte militare, l’Italia non si è mai tirata indietro nelle relazioni con Teheran. La Carlo Gavazzi Space ha costruito il satellite Mesbah, come riportato anche dalle Camera di commercio iraniana. Quest’ultima ha anche registrato che le forniture dei veicoli per esercito e Guardia rivoluzionaria è l’italiana Iveco. E non si può dimenticare la fornitura di motoscafi Levriero, progettati da FB Design, che ora sono in dotazione alla Marina militare iraniana. Ultime in lista, ma non per importanza, le banche. Dove ci sono investimenti, ci sono gli istituti di credito. Ecco quindi che Intesa Sanpaolo, Mediobanca e UniCredit sono presenti a Teheran tramite controllate locali. «Le banche italiane ci preoccupano»: così Israele aveva commentato gli affari di Roma in Iran in un cablogramma rivelato da Wikileaks. Difficile dargi torto.  

(originariamente pubblicato il 16 febbraio)

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