Roma fa ancora paura all’Europa, timori di un altro downgrade

Roma fa ancora paura all'Europa, timori di un altro downgrade

«L’Italia tiene in ostaggio l’Europa». A sostenerlo è Markit, la principale società al mondo per i Credit default swap, i derivati che proteggono dall’insolvenza di un emittente di titoli. L’imminente cambio politico in Italia è vettore d’incertezza e instabilità, spiegano gli analisti di Markit, come anche quelli delle principali banche d’investimento mondiali. Questo clima dubbio continuerà fino a quando il nuovo governo, probabilmente guidato da Mario Monti, non metterà in campo la sua ricetta per l’adozione delle misure richieste dall’Ue. Intanto, potrebbe arrivare una nuova tegola per l’Italia, ovvero un nuovo declassamento del rating sovrano.

L’Europa che non riesce a salvare se stessa non può pensare di salvare l’Italia. Mentre montano le voci di un collasso dell’eurozona, come riportato in esclusiva da Reuters nella giornata di ieri, aumenta anche l’incertezza sul futuro di Roma. Sono tre i motivi per cui l’Italia non riesce a placare il sentiment degli investitori: vuoto politico, costi di rifinanziamento del debito, incertezza sulle misure economiche per uscire dalla spirale in cui è entrata. È vero che il governo di Mario Monti è sempre più vicino ogni ora che passa, ma è altrettanto vero che non è chiaro in che modo avrà capacità di azione. Non sono poche le resistenze della Lega Nord, ricordate ancora stamattina dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, e dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Ma anche il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha sottolineato che non vuole accettare un governo tecnico di larghe intese.

C’è poi il debito. Da qui a fine 2012 l’Italia vedrà andare in scadenza circa 340 miliardi di euro di titoli di Stato. È indubbio che si tratta di un grosso stock che, a questi tassi, rende poco vantaggioso scendere sui mercati. Lo si è visto oggi, quando nell’asta di Bot con scadenza a 12 mesi gli investitori hanno spuntato un rendimento del 6,087%, in netto aumento rispetto all’asta dell’11 ottobre scorso, quando il tasso d’interesse fu del 3,57 per cento. Tutti i 5 miliardi di euro previsti sono stati collocati, ma il rischio è che nelle prossime aste, a cominciare da quella di Btp quinquennali del 14 novembre, i tassi d’interesse promessi potrebbero essere sempre più elevati. A preoccupare gli investitori è soprattutto la possibilità che l’Italia possa uscire volontariamente dal mercato per evitare di doversi rifinanziare a tassi insostenibili. Del resto, a questi rendimenti nazioni come Grecia, Irlanda e Portogallo hanno dovuto chiedere il sostegno finanziario dell’Europa. Oggi il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, è tornato sui suoi passi, ricordando che la situazione dell’Italia sul mercato obbligazionario «non ha un impatto drammatico nel breve termine sui costi di rifinanziamento e sul Pil italiano». Due giorni fa aveva invece detto di essere «molto preoccupato» dalla tendenza assunta dai rendimenti dei titoli di Stato italiani negli ultimi mesi. Secondo il commissario, tuttavia, nel medio termine l’effetto del rialzo dei tassi d’interesse «può essere significativo». Questo perché «un ipotetico aumento dell’1% dei tassi di interesse implicherebbe un aumento nella spesa in interessi dello 0,2% del Pil nel 2012 e dello 0,4% del Pil nel 2013». Con un debito pubblico prossimo ai 2.000 miliardi di euro, i costi di rifinanziamento potrebbero rallentare ulteriormente il consolidamento fiscale italiano.

Infine, la crescita economica. Le maggiori incertezze che hanno gli operatori finanziari riguardano le misure per la ripresa del Paese. A questi tassi d’interesse sul mercato obbligazionario e con un debito pubblico pari al 120% del Prodotto interno lordo (Pil), non si possono più fare passi falsi. Specie considerando che le ultime stime della Commissione europea vedono una crescita economica italiana dello 0,1% nell’anno in corso e dello 0,7% per il 2012. Troppo poco.

Il pareggio di bilancio previsto per il 2013 in base agli accordi fra Roma e Bruxelles difficilmente potrà essere raggiunto senza l’adozione di misure draconiane per la riduzione della spesa pubblica. Parallelamente, secondo i calcoli dell’Ue, l’Italia avrebbe bisogno di un surplus primario del 5% del Pil per poter evitare un avvitamento in stile greco. Difficile farlo senza un esecutivo di larghe intese, capace di garantire stabilità e ripristinare la credibilità perduta negli ultimi anni. Il commissario Ue Rehn ha oggi sottolineato che non ritiene credibile che l’Italia possa raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Rehn ha inoltre ricordato che la lettera di intenti presentata dal governo italiano all’Ue «non va abbastanza lontano riguardo alle misure per accrescere la concorrenza, né sulla riforma delle pensioni».

A peggiorare la situazione italiana potrebbe pensarci un ulteriore downgrade del debito sovrano. Nelle sale operative delle banche d’investimento si teme un imminente declassamento del rating italiano da parte di Standard & Poor’s. L’incertezza politica, l’innalzamento dei tassi d’interessi e la frenata della crescita economica sarebbero i driver. L’ipotesi non è così inverosimile.  

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